Come direbbe Totò: “Si fa presto a scrivere Via del Corno!”

Ma di che corno si tratta? Non si può dedicare una Via intera senza averne definito la natura. Mi sono perciò interrogata sui corni, ed è venuto fuori che ce ne sono così tanti che arriverò in fondo a questa strada senza essermi tolta il dubbio. Vediamo a quale Corno potrebbe essere intitolata la Via.

Il primo che mi viene in mente è quello napoletano. Troppo facile l’associazione di idee. In realtà però si chiama curniciello ed è il simbolo portafortuna per eccellenza. Ci sono tre caratteristiche fondamentali senza le quali l’amuleto non potrà assolvere al suo compito: deve essere duro, storto e con la punta. La cosa mi fa ridere non poco. Già, perchè tale oggetto rappresenta il membro di Priapo, Dio della fecondità maschile e dell’istinto sessuale. Un piccolo uomo con barba e capelli neri e un fallo enorme, così grande da essere rappresentato nelle statuette di epoca romana e nei dipinti, addirittura più grande delle stesse braccia. (da qui il nome della malattia del priapismo)

Nato dall’unione di Zeus con Afrodite, Priapo viene da sempre considerato il Dio della prosperità e gli amuleti per la buona sorte sin dall’epoca romana avevano le sue fattezze.

A Napoli non si possono acquistare i corni per se stessi, il corno va regalato o ci si deve far regalare e la tradizione prevede che chi lo riceve venga bucato dalla sua punta al centro del palmo. Se non si segue questa precisa indicazione pare che il corno non possa essere di nessun aiuto.

A proposito di corna, mi viene quasi naturale alzare indice e mignolo per sventolarli in aria. Il gesto non ha nulla a che vedere con la scaramanzia però. Per spiegarlo torniamo all’epoca dei greci, a Creta precisamente, dove abita una coppia di sposini: Minosse e Pasifae. Il Dio Poseidone regalò ai coniugi un toro affinché potessero sacrificarlo in suo nome. Essendo l’animale un gran bell’esemplare, decisero di uccidere un’altra bestia. Poseidone si adirò a tal punto che, per vendicarsi, maledisse Pasifae facendo in modo che s’innamorasse del toro graziato. La donna perse la testa per l’animale e la sua follia d’amore la portò a farsi costruire una mucca in legno all’interno della quale si nascose per poter avere un unione con il toro. Nacque così il Minotauro. Dopo la sua nascita, a Creta chiunque incrociasse il Re Minosse, faceva il gesto delle corna per prenderlo in giro ricordandogli così che era stato tradito per quell’animale cornuto.

A tutt’oggi chi è vittima di adulterio viene sbeffeggiato con la stessa gestualità.

Ma la Via potrebbe avere anche un terzo significato, potrebbe infatti voler ricordare il Corno Dogale. Conosciuto anche come Corno Ducale, era il copricapo dei dogi. Realizzato completamente a mano con velluto, seta e ornamenti preziosi; il cappello veniva indossato sopra un tessuto bianco che copriva le orecchie. Non c’era un colore specifico, il corno poteva essere fatto con qualsiasi stoffa così da poter essere indossato in pendant con l’abito scelto.

A pensarci bene però non può essere, in fondo non sono a Venezia, la cosa avrebbe avuto più senso lì.                                                C’è una quarta ipotesi che non ho ancora preso in considerazione però.

Il Corno Potorio. Come ho fatto a non pensarci fino ad ora. É il corno di un bovide utilizzato come recipiente sin dall’antichità.  Persino Thor e i Galli bevevano da un corno e direi che, mi sembra meno strano del bere lo champagne da una scarpa (moda che ebbe inizio in un bordello di Chicago nel 1902). Nelle varie epoche il corno venne abbellito con metalli, incisioni, pietre preziose; addirittura in alcuni musei vengono conservati dei corni incastonati in supporti in argento e oro che gli conferiscono la stessa fattezza di un calice.

Ci sono poi da considerare anche altri due corni. Lo strumento musicale a fiato e il corno simbolo per eccellenza dell’abbondanza: la cornucopia. Anche questa storia affonda le radici nella mitologia greca: Amaltea era la capra che diede da mangiare al piccolo Zeus. Alla sua morte il Dio per solenne riconoscenza, la mise tra gli astri. Della sua pelliccia ne fece il suo scudo e con le corna ci costruì una magica cornucopia a simbolo dell’abbondanza di cibo ricevuto dall’animale.

Nulla mi convince più di tanto. Ipotesi tutte plausibili in effetti. Mi sento di escludere a questo punto che si tratti del Corno di un animale, cioè dell’appendice ossea formata da cheratina che sta sulla testa di alci, stambecchi, cervi, bovidi, capre e persino scarabei…. in questo momento l’unica cosa che mi rimane da pensare è che:

“Non so un corno!”

La tipica espressione fiorentina mi viene in aiuto. Si dice: “sai un corno te!” per indicare che non ne sai un accidenti di nulla.

E in effetti è proprio quanto ne so io di tutta questa faccenda e cioè, niente.

 

 

 

(ps: le fonti della toponomastica di inizio secolo scorso propendono per la soluzione più semplice: la famiglia Del Corno aveva i palazzi in questa strada. Come ho fatto a non pensarci prima?!)

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