Autore: José Ovejero
Questo è un racconto di viaggio davvero ben sviluppato, ricco di particolati interessanti e di piacevole lettura.
Josè con questo libro vinse nel 1988 il Premio Grandes Viajeros (in giuria, tra gli altri, c’era anche Luis Sepúlveda) ed è facile capire come se lo sia conquistato: l’autore ci porta in questo Continente smisurato, descrivendoci ogni sua giornata affrontata col timore di un ipocondriaco, rendendoci così ogni capitolo, un’avventura simpaticamente complicata ed entusiasmante.
“Sono uno uomo più o meno pauroso che non si sente a proprio agio in strade prive di illuminazione e , sopratutto, sono un ipocondriaco che scopre continuamente di avere sintomi di tutte le epidemie e malattie endemiche dei paesi nei quali mi reco…”
Atterra a Nanchino, città dal forte carattere, nella quale soggiornerà per qualche tempo per affinare il suo cinese presso l’università locale. Le descrizioni delle sue passeggiate sono come fotografie, dettagliate e piene di emozioni. Le descrizioni dei paesaggi ci fanno sognare e le sue spiegazioni storico-sociali ci permettono, con un’attenzione ancora più spiccata, di poter conoscere ciò che ci sta mostrando. Non c’è luogo in Cina che non abbia vissuto delle tremende conquiste, delle guerre massacranti e torture indicibili. Così, tra nozioni storiche, consigli di viaggio e paure, Josè ci fa attraversare in treno una parte della Repubblica Popolare.
Visiterà insieme alla sua amica Renate: la città di Suzhou conosciuta come Venezia d’Oriente; la grigia Pechino; l’estesa Hong Kong, città labirinto più cara del mondo dove viene registrato il numero di Rolls-Royce più elevato per abitante, covo di pirati e trafficanti di droga, adesso città del business; Chengdu patria dell’orso panda; Guilin considerata dai cinesi la città più bella del mondo; Yangshou con le sue campagne piene di lavoratori infaticabili, e poi Xichan, Dali e altre.
Condivido con José la paura di contrarre l’epatite con le bacchette di legno usate nei ristoranti, l’orrore dei continui sputi a terra, anche sul pavimento del treno. Lo schifo dei piatti della colazione lavati nella tinozza riempita con l’acqua delle grondaie e la delusione nel vedere l’anziana signora impastare i ravioli con sapienza, soffiarsi il naso con le mani e continuare ad impastare.
L’autore ha lo stupore di un contadino che visita per la prima volta una città, adoro perdermi con lui per le strade dei villaggi e seguirlo in bicicletta tra le risaie. É un racconto che riesce a farci godere la bellezza del viaggio lento, quello nel quale tutto può accadere e tutto ti sorprende.
“…mi spinge a viaggiare…la curiosità di conoscere differenti maniere di vivere, il godimento che provo nel contemplare paesaggi diversi, il senso dell’avventura, il sottile piacere narcisistico che provoca vedere se stessi in fotografie scattate in luoghi remoti..:”
José ci spiega gran parte delle stranezze della cultura cinese, come ad esempio: il fatto che non amino storpiare i nomi delle persone perché la considerano una pratica assai maleducata; lungo le mura della città proibita si trovavano ambulatori di chirurghi che operavano i futuri eunuchi; le latrine pubbliche sono formate da un lungo canale e la gente ci si accuccia uno accanto all’altro. Scopro anche che sino agli anni Sessanta era praticato il cannibalismo di bambini e che la sessualità in questo paese segue regole ‘particolari’.
“…pretendo di trovare me stesso in qualche altro luogo del mondo…”
Un diario di viaggio favoloso, che consiglio a tutti coloro che vogliono sapere qualcosa in più su questo vasto Continente.
Se il libro ti ha incuriosito o se vuoi scoprire altri titoli di letteratura di viaggio: https://amzn.to/3GjLRM8