Autore: Duccio Canestrini
“…I souvenir sono impressioni materiali di un luogo visitato, extra-ordinario rispetto al vissuto quotidiano…”
Ho imparato a viaggiare un po’ troppo tardi. Ho ancora il trolley formato famiglia che ho dovuto acquistare durante un viaggio per poterci ficcar dentro tutti i souvenir acquistati. Pura follia!
L’andare dall’altra parte del mondo porta con sé l’idea di dover tornare con qualche ricordo materiale che possa, una volta a casa, farti tornare alla memoria quanto appena vissuto in terre straniere. Si cercano prodotti tipici che ti facciano riassaporare il gusto di quel viaggio, il profumo, la consistenza. Si vuole in tutti i modi avere un feticcio da appoggiare su qualche mensola della casa in bella mostra a testimonianza dell’impresa.
Ma come può un oggetto essere più importante di un’esperienza? Credo che nei cassetti della memoria ciò che viene vissuto venga archiviato con maggior cura rispetto al ricordo di un portachiavi a forma di delfino con la coda da apribottiglie. No?!
“Molti souvenir…una volta portati a casa perdono di significato…A volte li si ricicla come regali di Natale o per qualche lotteria di beneficienza…”
Questo libro, di poco più di cento pagine, affronta il tema ‘souvenir’ dal punto di vista antropologico, delinea la storicità dell’oggetto ed il suo significato. Subvenire in latino in forma transitiva significa accorrere in aiuto e nella sua forma verbale intransitiva: tornare alla mente, venire alla memoria, ricordarsi. Pare che il dono sia in realtà qualcosa di pericoloso, per questo che si tende a ricambiare sempre il gesto. Nonostante le puntuali analisi di Canestrini, trovo che la parte più piacevole sia l’elenco di oggetti che negli anni hanno riempito le case di tutti noi, viaggiatori e non.
Le gondole veneziane (che solitamente trovavano posto sopra il televisore del salotto o della cucina), le cartoline con i culi (sia maschili che femminili) e le scritte in grassetto: ‘saluti da…’ , ‘un ricordo da…’, ‘baci da…’. I poggiapentole, le presine e le mutande con le opere d’arte raffigurate sopra. La torre di Pisa ‘metereopatica’ che a seconda del tempo cambiava colore; ventagli con le trine (prima in legno e tessuto, poi in pessima plastica e materiale sintetico), ditali per cucire, bamboline coi costumi del folklore italiano chiuse dentro a cilindri di plastica trasparenti, mini water in ceramica portacenere, conchiglie portacenere, Madonne fatte di conchiglie, Cristi fatti di sughero, pesci palla gonfiati e penne con l’acqua dentro che fanno scivolare al loro interno il simbolo o il nome della città.
“…l’abitudine di acquistare souvenir indiscriminatamente ha messo in moto il business della cosiddetta airport art…oggetti ricordo che non ricordano più nulla…
Purtroppo con la globallizzazione ci hanno tolto persino il gusto della conquista. Ormai trovi tutto dappertutto, non c’è quasi più nulla di tipico di un posto che tu non possa ritrovare dall’altra parte del pianeta. Il 90% degli oggetti vengono fabbricati nello stesso luogo e distribuiti ovunque, sono di pessima qualità e di pessimo gusto.
-Ti ho portato giusto una sciocchezza-, -É solo un pensierino, nulla di che-. É ahimè finita l’era delle maschere di legno portate dall’Africa e appese gloriosamente alla parete del salotto, o delle borse in pelle acquistate in Toscana o del Rum portato dalla Jamaica e centellinato solo nelle migliori occasioni. Adesso siamo nell’era delle futilità prodotte in serie, eppure, i negozi di souvenir sono ancora onnipresenti e frequentatissimi.
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