“Potrebbe esser peggio, potrebbe piovere.”

Ogni volta che qualcuno ti dice ‘tranquilla non piove’ e poi, piove, mi vengono in mente gli occhi a palla di Igor (Marty Feldman).

Certo che, visitare un parco durante un temporale con fulmini tuoni lampi saette e pioggia a vento, non è tra le attività che consiglierei di fare ma, per quanto possa sembrarvi improbabile, credo che questo trambusto metereologico abbia perfino reso più interessante una visita che, altrimenti, sarebbe stata per me una mezza delusione.

Partiamo dal principio: questo parco dai primi anni del 1400 è andato sempre più espandendosi, secolo dopo secolo infatti, i vari proprietari trasformarono l’appezzamento agricolo in un rigoglioso giardino romantico all’inglese. Facciamo una lunga corsa sino al 1941 per arrivare col fiato rotto sino al nuovo proprietario terriero: il Dottor Carlo Sigurtà. Con lui gli ettari dell’appezzamento passano da 22 a 60. Non si ha solo un incremento dell’estensione del giardino, Sigurtà ci tiene proprio a questo luogo e decide di far ristrutturare l’Eremo, il Castelletto e la Grotta Votiva che si trovano all’interno dell’area dando così ancora più valore alla sua proprietà. Il parco rimane luogo privato sino al 19 marzo 1978 giorno in cui il Dott. Carlo decide di aprire i cancelli ai visitatori, purché auto-muniti.

Nell’ultimo decennio il parco è stato insignito di diversi premi come ad esempio ‘parco più bello d’Italia’, ‘parco più bello d’Europa’, ‘miglior attrazione’. Nonostante la sua fama però io non ne sono rimasta totalmente ammaliata. (eppure a me la Natura piace parecchio!)

Iniziamo col dire che 18 euro per l’ingresso sono davvero parecchie secondo me. Se poi sei uno che non ama passeggiare o che ha difficoltà nel farlo e, per non perdersi nemmeno un arbusto, vuole approfittare di un mezzo di trasporto a noleggio, devi aggiungere 5 euro per un giro in trenino, oppure 6,50 euro l’ora se vuoi pedalare, e gli euro salgono a 20 per poter gironzolare a bordo di un golf-cart. Non una gita per tutte le tasche insomma.

Le mie scarpe quasi affondano sul terreno di un curatissimo prato verde chiaro. Cerco di seguire le indicazioni della mappa ormai ridotta a brandelli, la cui legenda mi suggerisce luoghi contrassegnati da numeri. Peccato che non vi siano anche dei numeri sulla cartellonistica dei vari siti d’interesse. Ma non demordo, in effetti sarebbe troppo semplice e poco stimolante associare il punto 15 al cartello 15 o il punto 3 al cartello 3, in questo modo invece, rimane sempre un alone di mistero su dove ci si trovi al momento, e questo spinge le persone a guardarsi intorno e a godere di cotanta Natura. Insomma, se non sei una giovane marmotta o un impiegato dell’ufficio comunale della toponomastica, potresti orientarti un po’ a fatica ma, in fondo, potrebbe far parte del divertimento.

Ed eccomi tra vasche d’acqua, viali impreziositi da rose, laghetti abbracciati da centinaia di radici aggrovigliate che affiorano dal terreno e punti panoramici che affacciano su una meravigliosa vallata. Entro nel labirinto di siepi quando la pioggia si fa più insistente. Non si vede nulla, lo scroscio d’acqua crea un muro di foschia e vapore. Non bastavano queste siepi alte più di due metri e la complicata forma della struttura. Il temporale è così impetuoso che non riesco quasi a sentire le grida e le risate della gente che mi precede di qualche passo e che, in preda ad agitazione corre in tutte le direzioni cercando di districarsi per questi sentieri spigolosi. Mi scontro con persone provenienti da diverse direzioni, nemmeno davanti ai bagni della clinica per gli incontinenti c’è un simile andirivieni. “Seguite me!” “Sai come uscire?” “No, ma ho fatto la foto dall’alto” “Ok dai ti seguiamo.”

Mi accodo anch’io “Da questa parte! Ops muro! Era la seconda a destra, muro. Ah no cazzo. Aspetta guardo meglio la foto. A sinistra, no muro uffa! Si sta bagnando il telefono, merda! Venite a dritto di qua e poi sinistra, muro! Di nuovo ecchecazzo! Che palle! Venite di qua allora…” Sicuramente non mi sono accodata ad una cartografa, penso. Dopo qualche minuto riusciamo comunque a trovare la via ma soltanto perché passa in testa, a dirigere la carovana di disperati, un uomo un po’ attempato che non sembra vederci un cazzo ma a quanto pare ha un gran culo. Azzecca una dietro l’altra tutte le direzioni portandoci così in salvo. É il nostro Mosè degli arbusti sempreverdi.

Il sole decide di farsi vedere, i colori dei fiori diventano vividi e brillanti, riesco finalmente a godere di ogni sfumatura di verde. Tempo impiegato per l’intera visita circa due ore, considerando le soste per consultare i brandelli di mappa e il giro nel labirinto. Non è il modo giusto di godersi un parco, ma anche col sole non avrei fatto molto altro di diverso, forse mi sarei concessa qualche minuto distesa sul prato, o una lettura su una panchina all’ombra, resta il fatto che, per queste cose, ci sono anche i giardini pubblici che, non saranno così estesi ma, sono di gran lunga meno cari.

 

 

 

 

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