Se facessero la miniatura in formato Lego di Pitigliano sarebbe un accrocchio di mattoncini marroni incastrati al millimetro su altri mattoncini verdi. E’ così che si presenta questo borgo antico della Maremma toscana.
Lo guardi e capisci subito che qui, ingegneri edili ed architetti, farebbero la fame perché…non c’è più spazio. Non ce n’è.
Una stretta ragnatela di vicoli alcuni dei quali così angusti che allargando le braccia sei in grado di toccare entrambe le case; la roccia di tufo sorregge le abitazioni che, da buone amiche, si spalleggiano restando ritte ad un passo dal precipizio.
T’immagini giocare a pallone nella piazza del paese? Soprattutto con il mitico Super Santos che con un alitata di vento riusciva a fare chilometri nella direzione sbagliata. Negli anni 90 (quando ancora ci si divertiva a giocare per strada) quanti palloni saranno volati giù nella fitta vegetazione?
Il paese si deve ancora svegliare, solo gli uccellini sono già arzilli e cantano allegri nel cielo appoggiandosi di tanto in tanto su qualche ramo prima di riprendere le vorticose acrobazie. Mi faccio strada accompagnata dal rumore dei miei passi. Il cuore di Pitigliano è conosciuto come ‘la piccola Gerusalemme’. Il ghetto ebraico fa parte di questo borgo fin dagli ultimi anni del 1500, con la sua sinagoga e i suoi spazi di commercio ed attività della vita quotidiana e religiosa.
Mi sento un’imitazione di Mosè, pare che lui fosse in grado di dividere le acque al suo passaggio io invece, faccio aprire le finestre. Sembra di stare nello spot di Chanel, ci manca solo qualche donna arrabbiata che grida “egoist!”. É l’ora giusta, le ante in legno cigolano sui cardini arrugginiti e si sentono le prime conversazioni sgraziate che accompagnano i risvegli. Ho un’altro po’ di tempo prima che le strade si animino. Faccio qualche scatto tra gli scorci che si assomigliano tra loro in maniera imbarazzante. Le botteghe tirano su il bandone: il macellaio e l’ortolano, il pellettiere e la pittrice, chi ricama e chi intaglia il legno, ci sono tutti all’appello.
Una signora esce di casa per sistemare lo stendino fuori dall’uscio. Ha un grembiule sporco di sugo appoggiato con un nodo sui fianchi rotondi, i capelli disordinati, i calzini bianchi di spugna che spuntano fuori da un paio di ciabatte logore e un sorriso simpatico. L’odore di detersivo si mischia al profumo di salumi e formaggi del pizzicagnolo.
I gatti camminano lenti strisciando il fianco sui mattoni, non sembrano affatto socievoli perciò non mando baci e non strofino le dita tra di loro per cercare di attirare la loro attenzione, me li lascio invece alle spalle proseguendo il mio cammino senza dar loro attenzione in perfetto atteggiamento felino. Proseguo sino al punto più estremo del borgo e mi sporgo leggermente dal muretto per guardare giù. Sotto di me c’è un mare verde che ondeggia sotto la spinta del vento.
C’è una cosa che mi fa sorridere: la sedia lasciata fuori dai portoni. E’ lo spazio social dei tempi passati. C’è niente di più romantico del sedersi fuori casa ed aspettare in silenzio che qualcosa accada? Che passi un cane, un gatto, una mosca, una cavalletta; che le api vengano a ronzare sui vasi in fiore svolazzando ad un palmo dal tuo naso. Attendi i passi veloci dei bambini che si rincorrono, lo scatto della macchina fotografica di un turista curioso, il rumore dei freni di una bicicletta; aspetti un amico, un vicino o uno sconosciuto che attraversa la strada. Ti inebri dei profumi portati dal vento, quello del caffè della vicina, dello stufato della dirimpettaia o del pane caldo del fornaio. Si sta lì fermi e si attende.
E pensare che c’è ancora qualcuno che dice “guarda che il mondo non gira intorno a te!”.
Probabilmente quel qualcuno non si è mai seduto fuori dalla porta di casa.
One comment
Michael DiSylvester
Pitigliano is a beautiful village. My mother was born there. I visited it many times. I still have relatives there. Enjoyed your article. Thank you!