Carrie Bradshaw avrebbe sicuramente indossato un kimono a fiori, dei sandali Louboutin, una pochette di pelle stampata con  frange sottili, orecchini vistosi in oro, ed anelli dalle diverse forme. A completare il look, uno dei suoi sorrisi a trecentosettantadue denti. Ce la vedo mentre passeggia con quelle sue movenze un po’ scoordinate ruotando su se stessa e rallentando all’improvviso per sistemare le ciocche dei capelli fuori posto. La immagino osservare le vetrine di queste botteghe in legno con distacco e supponenza finendo per acquistare, inevitabilmente, la cosa più costosa e appariscente solo per poter ondeggiare qualche busta di marca avanti e indietro su questi stretti marciapiedi in pietra.

A proposito di marciapiedi e di borse che ondeggiano…ma come sarebbe stato possibile girare la scena di shopping di Pretty Woman qui nella Kyoto antica? Vivian sarebbe entrata nel primo negozio e non avrebbe incontrato delle megere con le spalline della giacca rigonfie bensì delle commesse gentili e servizievoli. Non si sarebbe potuta andare a lamentare con Edward che, con tutta probabilità, vedendola tornare con centinaia di pacchi e scatoline, le avrebbe addirittura detto con tono seccato:

“Ti avevo detto di comprare un vestito non di svuotarmi la carta di credito, ryokan!”

“Come scusa?”

“No dico, il ryokan per stasera, lo hai prenotato almeno?”

Sorrido a questo strano riadattamento cinematografico, al posto della corsa dei cavalli probabilmente l’avrebbe accompagnata ad un’incontro di sumo.

Cammino lenta, un po’ per colpa del mio zaino pieno di cose inutili e un po’ perché non voglio perdermi nessun particolare di queste strade che riportano indietro nel tempo in un’epoca lontana e sconosciuta. Ho le mie scarpe da ginnastica con un piccolo buco laterale, i pantaloni stretti in vita e larghi sui fianchi, una maglietta stropicciata e un dignitosissimo sorriso da ebete, quello che indosso davanti all’inusuale.

Faccio rimbalzare lo sguardo sulle sottili grondaie scure, sulle finestre sporgenti e sui fili elettrici che viaggiano sospesi tra una casa e l’altra. A terra la pietra grigia si armonizza perfettamente con il caldo color marrone dei pannelli in legno. Ogni tanto in mezzo alla folla si vedono spuntare ragazze in kimono con fantasie floreali che non sarebbero state bene nemmeno sulla carta da imballo delle uova di pasqua degli anni ottanta. Eppure qui sono belle, rendono tutto più brioso e folkloristico.

Muovo la testa come alla finale di Wimbledon: a destra ragazze con calzini bianchi  e infradito, a sinistra viene venduto il tè matcha e il profumo che si spande tutt’intorno m’inebria; poco più avanti c’è un negozio di fermagli per capelli. Controllo i prezzi dalla vetrina e penso che infondo Skin degli Skunk Anansie ci ha visto lungo. Inciampo tra le ruote di un passeggino e il piccolo con gli occhi a mandorla sorride mostrando profonde fossette in guance rubiconde, poco più avanti inizia la salita, rallento adeguandomi al passo della gente e mi godo questa strana rilassatezza. All’angolo c’è una bottega all’interno della quale è possibile lavorare la creta e creare dei piccoli oggetti.

Trovi di tutto in questo centro nevralgico della prima periferia della città: le bacchette per mangiare il sushi, i saponi naturali e le maschere per il viso, i dolcetti ai fagioli rossi e la carta di riso dipinta a mano. Trovi sopratutto una straordinaria mescolanza di turisti, residenti e persone abbigliate come tradizione vuole.

Mi piacciono i colori sgargianti che spiccano nella monotonia della vita quotidiana, mi piacciono gli inchini delle commesse e mi piacciono i sorrisi delle persone che si concedono il passo.

E poi mi imbatto in lei, che mi piace ancor di più perché è la perfetta rappresentazione di quest’ incredibile città e della sua cultura.

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