Cammino per strada indaffarata coi miei pensieri. Li riordino, li imballo, li archivio e ne aggiungo di nuovi.
Alzo lo sguardo un’ istante per controllare la strada poi torno a studiar l’asfalto, con le sue sfumature di grigio e di nero.
Tengo gli occhi all’ingiù come un filosofo che controlla i suoi passi, come un bambino che cerca formiche, come una che vuole notare tutto ma non essere notata.
Trovo un piccolo spazio all’ombra di un albero.
Mi fermo a respirare.
Scorgo in lontananza un uomo interessante.
Cammina senza cellulare in mano, con le cuffie all’orecchio il cui filo bianco sbatte leggero sulla giacca in pelle marrone e la zip aperta per metà sul torace.
Ha un viso buono e serio.
Tamburella con le dita per aria seguendo il ritmo di chissà quale melodia.
Mi piace.
Eccome se mi piace.
Ho già buttato all’aria tutti i miei pensieri per lui, mi immagino già matrimonio e figli.
“Cosa gli cucino stasera?”
Intanto ho calpestato un paio di merde fresche per correre nella sua direzione.
Non lo perdo di vista.
Struscio un po’ la scarpa per scrollare la puzza e procedo zoppicando come una che sa benissimo di non sapere cosa stia facendo.
Siamo sulla stessa strada adesso.
Lo stesso marciapiede.
Io dietro di lui.
Lui davanti a me.
Mi vengono in mente tante stupide frasi per attaccar bottone e, come una sarta inesperta, provo mentalmente le mie mosse: “Senti che puzza? Hai mica pestato qualcosa? Appoggiati pure a me e controlla la suola. E se ti va, poi, puoi restare appoggiato a me per sempre.”
Non funziona. “Che musica ascolti? Anche io seguo il ritmo con le dita” sorrido come un ebete e per fortuna non mi vede nessuno.
Nulla di quello che penso sembra avere un senso, neanche nel silenzio della mia testa.
Mi sto quasi convincendo che la banalità del “Scusa che ore sono?” sia la migliore soluzione.
Faccio un piccolo passetto verso di lui, socchiudo un po’ la bocca e all’ improvviso lui si sposta bruscamente impaurito da qualcosa… una macchina per poco non investe un anziano.
Lui segue i passi dell’uomo accompagnandolo con lo sguardo al sicuro sul marciapiede mentre io, fulminea, sono già davanti al cofano dell’auto:
“Manca poco lo ammazzi! Il cellulare mettitelo nel culo!”
E mentre mi inclino un po’ in avanti per simulare la corretta gestualità, sento i suoi occhi su di me.
Risotto. Probabilmente gli avrei cucinato il risotto.
Ma in fondo, chi racconterebbe mai al discorso del pranzo di matrimonio, di aver conosciuto la moglie mentre era inclinata sul cofano di un auto simulando l’ ingresso di un telefono nel suo deretano?
Torno ad appoggiare lo sguardo sull’asfalto e riprendo in mano i miei pensieri.
Che strano.
Sento ancora puzza di merda.







