Autore: Marguerite Yourcenar

“Chi sarebbe così insensato da morire senza aver fatto almeno il giro della propria prigione?”

La frase tratta da l’Opera al nero fu d’ispirazione all’autrice per la stesura di questi suoi appunti e memorie di viaggio. Scrittrice prolifica e poetessa esistenzialista, nel 1929 fu la prima a scrivere un libro sull’omosessualità, il testo le diede un’attenzione internazionale.

Questo saggio, edito nel 1991 a quattro anni dalla sua morte, appare talvolta incompleto ma, nella sua frammentarietà, riesce a far emergere pienamente lo spirito attento e lucido di una donna di ottant’anni che ha vissuto la sua vita appieno e che ha amato viaggiare.

Da Montreal a Vancouver in treno, passando così in pochi giorni, dall’ Oceano Atlantico al Pacifico; e poi ancora ad Algeri, per un breve soggiorno, sino a Tokyo, nel Continente che più l’ha affascinata.

Marguerite ci accompagna per le strade meno battute delle città  senza prestare troppa attenzione alla descrizione di paesaggi ed atmosfere, concentrandosi invece, su ciò che accade nella società. Racconta dei primi musical americani e dell’esordio sul grande schermo di gay e travestiti; scherza su come il turista sia sempre più pigro e poco capace di vere avventure, prende un po’ in giro la nuova moda dei croceristi, categoria di persone che a parer suo “…appartengono…alla bizzarra classe di vagabondi ricchi, di età matura, o molto matura…”. Si stupisce  nel trovare un gran numero di prostitute bazzicare locali e bar notturni di Kyoto, tendenza che ruba il posto, per affluenza e curiosità, alle più tradizionali cerimonie del tè. I templi buddisti tra le pagine di questo diario, diventano luoghi di religiosità di gran voga, più alla moda delle passerelle di stilisti di punta. 

Sono gli anni Ottanta, probabilmente gli anni migliori del secolo scorso, quelli in cui ai walkman, erano attaccate cuffie con un lungo filo aggrovigliato. Il decennio dei gelati che si scioglievano sui tavoli sgangherati dei bar di piazza, degli scomodi viaggi in treno che duravano tutta la notte, delle foto ricordo che, di ritorno da una villeggiatura, venivano mostrate ai parenti.

“Ci sono posti della Terra così belli che si vorrebbe stringerli al petto..”

Le sue considerazioni sono frutto di un’attenta osservazione del mondo che la circonda, dei protagonisti che ne fanno parte, coscientemente o inconsapevolmente, ognuno con il suo ruolo.  I ricordi (e l’esistenza stessa), sono per l’autrice come una filigrana il cui “…essere visibile…” appare “…solo quando si mette il foglio in controluce.” 

“Ogni momento è ultimo, perché è unico. Nel viaggiatore, tale percezione si acuisce per l’assenza delle abitudini fallacemente rassicuranti, tipiche del sedentario, che inducono a credere che l’esistenza resti sempre com’è..”

A mio avviso le pagine più interessanti sono quelle del capitolo finale nel quale viene citato il discorso recitato dalla Yourcenar durante una conferenza a Tokyo. Sottolinea in maniera fresca e chiara, i vari motivi che spingono la gente ad intraprendere un viaggio facendone un elenco nemmeno troppo articolato: per guadagno o per avventura; per far convertire altri uomini alla propria religione; per trovare un luogo con condizioni di vita più favorevoli di quello in cui già si vive e, in ultimo, (forse il più importante e stimolante), per la ricerca della conoscenza.

“Nonostante tutto, i nostri viaggi, come le nostre letture ed i nostri incontri con i nostri simili, sono mezzi di arricchimento che non possiamo rifiutare.”

Un testo sicuramente datato, con pochissimi, se non privo di spunti di viaggio, ma sicuramente una lettura che mostra il lato avventuroso e critico di una donna che sta tirando le fila dei suoi ricordi più preziosi.

 

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