Autore: Vito Teti
“…Anche i viaggi fantastici, immaginari, sognati, inventati narrano di nostalgia dell’altrove, di altri mondi, di una nuova vita…”
Restanza.
Ho visto il libro tra gli scaffali e ho sorriso. Credevo fosse una di quelle parole slang che si inventano mensilmente. Topperia, figata, deddato, blastare, chillare, non riesco a capire metà delle parole che usano i giovani d’oggi, restanza però, a differenza delle altre, è sul dizionario della lingua italiana. (Esiste anche ‘tornanza’!).
Il neologismo è stato proprio introdotto dall’autore, Professore di Antropologia culturale che in questo saggio affronta il tema dello spostamento non solo fisico ma come stato emotivo. Scappare rimanere tornare allontanarsi trasferirsi, ci muoviamo nello spazio in continuazione, lo facciamo persino quando stiamo fermi.
Teti ci spiega proprio questa dicotomia del partire e del restare non solo in riferimento al viaggio ma all’intera nostra esistenza. In una realtà in cui l’uomo si fonde con lo spazio che occupa, anche lo spazio diventa parte intrinseca del suo essere. Viscerale attaccamento a ciò che è parte di noi come se il luogo fosse un prolungamento del nostro corpo ed il corpo fosse esso stesso un piccolo pezzo di quel luogo.
“…l’uomo è in viaggio, comunque, anche quando pensa di essere fermo…”
Sono molti i problemi derivanti o scatenanti da una partenza o da una restanza. Quando ci si sposta né il posto in cui arriviamo né quello in cui torniamo sono più gli stessi. La memoria e le aspettative sono continuamente disattese perché gli spazi mutano tanto quanto cambiamo noi. Irrequietezza, precarietà, speranza, incompiutezza e rabbia. Tutti sentimenti che scivolano tra queste pagine in un susseguirsi di riflessioni che ci suggeriscono la tesi secondo la quale viviamo in un perenne stato di disagio e di continua ricerca della bellezza.
Nei capitoli leggiamo di: rivoluzione agricola, abbandono dei paesi, rivoluzione industriale, città, metropoli, borghi abbandonati. L’importanza e la necessità di conservare e mantenere in vita le tradizioni, i prodotti tipici, il pane. Si vuole cambiare il mondo e poi lo si vuole ricambiare per farlo tornare come prima. Questo perenne contrasto tra ruralità e urbanesimo, tra paese e città, talvolta porta allo smarrimento esistenziale e ci si abbandona alla voglia del fuggire, del partire, del migrare pensando che il mondo visto da un altro luogo abbia un sapore del tutto diverso. O, restiamo, per non cambiar nulla, per conservare e proteggere il nostro mondo.
“Non è facile allontanarsi dai luoghi in cui si è cresciuti, si possiede la casa, la campagna, l’orto, dove esistono relazioni di vicinato, dove ci sono il cimitero e la chiesa. …Si resta anche in luoghi dichiarati pericolanti, contro il padre dell’autorità…”
Le persone ed i luoghi quindi si somigliano.
Un saggio che crea molti spunti di riflessione e cerca di analizzare questo desiderio del costruire un nuovo sentimento dei luoghi.
Nonostante abbia trovato molto interessante il concetto dell’ “…urgenza di esistere al di fuori e al di là del perimetro…” , su altri argomenti non mi sono trovata in sintonia con le parole del Professore, che ho comunque trovato parecchio stimolante.
Un testo accademico che affronta il tema del partire e del restare, prendendo come esempio il Sud Italia e la storia del suo perenne moto umano.
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