Autore: Washington Irving

Solitamente quando si finisce un libro c’è sempre qualcuno che chiede due cose: ti è piaciuto? e poi… Di cosa parla?

Se quel qualcuno quelle domande le rivolgesse a me risponderei: no, e poi…non ne ho la più pallida idea.

Partita con le migliori intenzioni, pensavo di aver acquistato un libro di viaggio un po’ fuori dal comune certo, ma non così strampalato. Non credo nemmeno di poterlo inserire tra la letteratura di viaggio poiché a dirla tutta, una traversata in nave c’è ma non è il fulcro della narrazione che convoglia invece tutte le sue energie su misteri, presenze invisibili e spiriti del passato.

In poche parole: un ragazzo (Dolph appunto) ribelle, maleducato, un po’ cattivello diciamolo, intraprende all’improvviso (e quando dico all’improvviso significa che la decisione viene presa nel giro di una riga e mezzo!) un viaggio in nave. Tempeste, incontri con gli indiani, spettri, sogni premonitori, foreste impervie…che poi alla fine se non ami il genere tra il fantasioso e lo spettrale rischi di perdere il filo della narrazione centinaia di volte. (come è successo a me.)

Insomma, deve proprio piacere l’autore per apprezzarne il tipo di scrittura perché a me questo scapestrato Dolph non è proprio andato a genio anche se una cosa giusta l’ha detta: “…Si sentiva sotto l’influenza di una forza soprannaturale, e cercò di farsi coraggio ricordando la sua massima preferita: che in un modo o nell’altro, andrà tutto per il meglio…”

 

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