Autore: Bill Bryson.

Uno degli autori che vorrei tanto intervistare. Lo scrittore contemporaneo che più mi fa ridere, lo so, è umorismo British e non a tutti piace ma a me sì, molto.

Sono solita sottolineare i passaggi che più mi colpiscono o quelli scritti meglio, faccio delle linee verticali accanto alle frasi che mi insegnano qualcosa di nuovo o che corrispondono esattamente ad un mio pensiero o sentimento. E poi, disegno piccoli cuori vicino alle righe del libro che più mi fanno emozionare e faccine con la bocca all’insù quando la battuta mi fa sorridere.

Questo libro è pieno zeppo di faccine che ridono!

Un viaggio in auto e a piedi attraverso la Gran Bretagna. Brevi scorci, qualche informazione utile, alcune curiosità e molta vita vissuta. Nel complesso non mi affascina molto la narrazione, alcune volte la trovo prolissa e superflua ma, il carattere burbero ed il linguaggio schietto ed irriverente dell’autore mi tiene sempre incollata. Questo è ciò che apprezzo di questo libro, al di là della descrizione di zone di un Paese che amo, a me piace immaginare di essere in sua compagnia quando, con eleganza e charme, trova sempre il modo di discutere con qualcuno.

Vi lascio qui sotto uno tra i miei passaggi preferiti:

“…Erano da poco passate le tre, perciò avevo tempo per una tazza di tè e per dare un’occhiata a Torquay: sembrava una giornata interminabile. Individuai un bar dall’aspetto piacevole, ma quando mi accostai alla porta, uscì un uomo che stava per chiudere il locale. “Spiacente, stiamo chiudendo” disse. “Oh” feci io preso alla sprovvista. “A che ora chiudete?” “Alle cinque.” “Oh” dissi di nuovo. “Ma adesso che ore sono?” Mi guardò come se fossi un po’ lento di comprendonio. “Le cinque.” “Certo” ammisi. Gli mostrai il mio orologio. “La batteria fa le bizze.” L’uomo mi indicò un negozio in fondo alla strada. “Credo tengano aperto fino alle cinque e mezzo e penso abbiano le batterie.” Lo ringraziai e raggiunsi il negozio che mi aveva indicato dove trovai un uomo sulla cinquantina seduto impassibile dietro al bancone. Sembrava non muovesse un muscolo da almeno dodici ore. Gli passai il mio orologio, spiegandogli che la batteria sembrava in punto di morte. Esaminò l’orologio per mezzo secondo e me lo restituì. “Questi non li trattiamo.” disse categorico. “Non trattate cosa? Gli orologi?” “I Mondaine. non trattiamo i Mondaine.” “Oh. Conosce qualcuno che li tratti?” Si strinse nelle spalle. “Può provare da Jones.”  In realtà non disse ‘Jones’. Pronunciò un altro nome, ma poiché io sono una persona gentile, userò uno pseudonimo. Riuscì ad estorcergli un nome di una via e un cenno del capo con cui mi indicò la direzione approssimativa. “Grazie” dissi, e poi all’improvviso mi sporsi sul bancone e gli cacciai due dita dritte negli occhi. In realtà non lo feci, lo immaginai soltanto. Comunque immaginarlo mi fece sentire meglio.  Mi affrettai da Jones – per una qualche ragione la cosa cominciava a sembrarmi urgente- solo per ritrovarmi difronte ad un altro tizio dall’indole altrettanto cordiale. Gli spiegai il mio problema, e gli passai l’orologio. Lo guardò e me lo restituì. “Non posso aiutarla” disse. “Perchè?” “Nono ho le batterie in magazzino, mi dispiace.”  Almeno aveva detto ‘mi dispiace’, anche se potrei giurare che non era vero. Io ringraziai e uscii. Ormai era chiaramente troppo tardi per fare qualsiasi altra cosa lì a Torquay, così recuperai l’auto e mi misi in viaggio in direzione di Totnes. Torquay mi piace, e può darsi benissimo che un giorno ci torni, però vi dico questo: quando si tratta di batterie, possono andare affanculo…”

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