Nel mondo esistono capolavori che non hanno bisogno di presentazione come: il David di Michelangelo, la Venere del Botticelli, il Colosseo, i Concetto Spaziale Attese di Fontana, il parmigiano reggiano, l’abbiocco dopo il pranzo di pasquetta e…il Cristo Velato.
Poter studiare con lo sguardo ogni centimetro di questa incredibile statua da una distanza ravvicinata è un vero privilegio.
Cristo è disteso su un materasso, al centro della navata della piccola cappella Sansevero. La testa poggia su due cuscini, le gambe sono leggermente flesse al ginocchio e le braccia lungo i fianchi sono abbandonate al riposo. Il corpo nudo sembra liquefarsi ed il velo che vi si appoggia sopra, con le sue centinaia di pieghe ed increspature, è appiccicato , al volto rilassato. Si ha quasi la sensazione di poterne sentire il respiro, il tessuto sottolinea l’incavo delle narici e scende di lato senza alcuna pesantezza, accompagnato da una lieve torsione della testa.
Le dita dei piedi, lunghe ed affusolate, sono davvero impressionanti ed ancora di più lo è la precisione chirurgica dei solchi inflitti della lancia su di essi, regolari e coi bordi lievemente sporgenti. Le stesse ferite si notano sul costato e sul dorso delle mani; i muscoli delle braccia e delle cosce, gli zigomi pronunciati, le palpebre abbassate, le ciglia e le labbra, nascoste da delle sottili increspature del tessuto ma così delicate nella loro carnosità.
Intorno a me ci sono decine di turisti, io resto immobile a contemplare i lineamenti e continuo a pensare “ora si sveglia. Sicuramente al mio dieci si sveglia…uno, due, tre, quattro…”.
Lo avevo visto molte volte sui libri di arte e sulle immagini che circolano sul web ma, dal vivo, si ha davvero l’impressione di trovarsi davanti ad un giovane uomo che sta riposando. Persino le pieghe del drappo sotto di lui, i bottoni, le pieghe ed i pon pon agli angoli dei cuscini, conservano la morbidezza di un vero tessuto. Sul retro di un guanciale si legge il nome dell’artista: “Ioseph san Martino neap fecit 1753″.
Il giovane venne ingaggiato dal VII Principe di Sansevero, mecenate, alchimista, gran maestro della massoneria italiana, anatomista, accademico, esoterista ed inventore: Raimondo di Sangro. Lo stesso, fece costruire questo complesso monumentale straordinario e diede il compito di scolpire il Cristo a Giuseppe Sanmartino che, in soli tre mesi e mezzo, portò a termine l’opera commisionata.
Ora potete immaginare quante volte la gente abbia chiesto agli operatori museali: “Mi scusi, l’audioguida dice tre mesi, ma forse voleva dire tre anni”. E quante volte loro abbiano dovuto rispondere: “No signore, sono proprio tre mesi.”
La leggenda narra che l’intera opera sia il frutto di un’esperimento alchemico di Raimondo di Sangro, tentativo che ha permesso un processo di marmorizzazione della materia. La roccia non sarebbe stata quindi scolpita, ma sarebbe il risultato della trasformazione del velo molto sottile e leggero disteso proprio su di un corpo.
Sono completamente ammaliata dalla bellezza di quest’opera, dai dettagli che scopro continuando a percorrere con lo sguardo tutto questo enorme blocco di marmo scolpito. Le spalle muscolose, le costole visibili, l’ombelico, la pancia rilassata e morbida, il merletto del sudario, le punte ricurve dei tre chiodi utilizzati per la crocifissione, la corona di spine con gli intrecci di diversi rametti nodosi ed incurvati.
La vita e la morte che si fondono e che sembrano creare una nuova misura del tempo e della materia, una specie di bolla all’interno della quale la finzione appare come realtà e la realtà ci suggerisce la finzione.
La voce nelle cuffie mi dice di guardare altrove.
Faccio molta fatica a seguire la descrizione di questa magnifica cappella. Ci sono decine di statue, una più incredibilmente realistica dell’altra. I soffitti sono interamente affrescati, i pavimenti in cotto sono abbelliti da maioliche colorate e, la parte laterale che conduce alla cripta è decorata con un mosaico geometrico bianco grigio e nero di rara bellezza.
La chiesa sorge sopra le rovine del tempio di Iside, ai lati dell’altare vi sono la pudicizia e il disinganno. La prima è rappresentata da una giovane donna che sorregge una lapide spezzata, il secondo invece è un uomo che cerca di liberarsi dal giogo di una rete i cui intrecci sono talmente realistici da mostrare la pelle della coscia compressa tra le trame. Accanto a lui un genietto alato con una fiamma in fronte, emblema dell’intelletto. Tutte le opere sono state realizzate tra il 1752 e il 1754 e trovo assai strano che il Globo abbia tutti i Continenti, le Isole ed i Mari al loro posto.
Ma in fondo, trovo sconcertanti gran parte delle opere di questa cappella. Il volto in bronzo di Cristo sull’altare, le statue delle nicchie laterali che rappresentano tra le altre: l’amor divino, l’educazione, il dominio di sé, il disinganno, la sincerità.
Sulla porta d’ingresso c’è un sarcofago dal quale sta uscendo Cecco di Sangro con una spada pronta all’azione stretta nella mano destra. Si era nascosto all’interno della cassa per due giorni per riuscire a cogliere di sorpresa i nemici durante una battaglia nelle Fiandre. La pelle del leone scuoiato appoggiata sul bordo della cassa sembra quasi sul punto di cadere tanto par vera.
Al piano di sotto, un piccolo spazio che in origine avrebbe dovuto accogliere il Cristo Velato, è occupato da due corpi perfettamente conservati. Un uomo ed una donna (il feto, col cordone ombelicale, è stato rubato e mai più ritrovato). Sono straordinarie macchine anatomiche, Raimondo di Sangro a quanto pare riuscì a produrre un liquido che gli permise di preservare il sistema circolatorio dopo la morte. Probabilmente i due soggetti erano due servi ai quali somministrò l’intruglio. Oltre alle ossa, si possono ammirare nella loro interezza, i nervi, le vene ed i capillari. Il cuore, gli occhi ed il groviglio dell’apparato cardiocircolatorio sono davvero impressionanti. Un reticolo davvero perfetto ed intricato.
Questa cappella è forse il luogo più piccolo e pieno di opere che ci sia al mondo. La grandezza di questo luogo non è però misurabile in metri quadrati, bensì in straordinarietà, ed il genio artistico contenuto qui dentro non ha rivali. Come disse Canova guardando il Cristo velato: “Avrei dato dieci anni della mia vita pur di essere stato lo scultore del Cristo Velato”.








