Lo zoo delle piante, è come considero in maniera tenera l’orto botanico.
Solitamente trovo armonia e distensione mentre passeggio tra colori, profumi e silenzio. Non c’è altro posto più accogliente di un giardino, di un prato in fiore, di un bosco. Non c’è altro luogo al mondo che non faccia sentire le persone in compagnia anche quando sono sole.
Ho ritrovato in un vecchio scatolone, un mio tema delle elementari. Eravamo stati in gita all’orto botanico di Firenze e descrivevo quella mattinata.
Non ho resistito, e ci ho fatto un salto per tornare a quegli splendidi anni Novanta.
Era il 1991 e, a distanza di tutti questi anni, devo ammettere che il salto temporale mi è riuscito piuttosto bene infatti, qui, non è cambiato un cazzo! Controllo di non avere ancora il grembiulino blu addosso, mi tasto il petto per cercare il colletto in pizzo che abbelliva quella specie di giubba lunga dai bottoni colorati. Ma sembra essere tutto apposto anche se….mi sembra di sentire le piante sussurrare: “Ao! Rieccola questa, ce l’hai fatta a tornà a trovacce eh!” Faccio finta di niente e proseguo la visita.
Questo è uno degli orti botanici più antichi al mondo, alcuni dicono al secondo posto dopo Padova, altri lo considerano il terzo, fatto sta che viene realizzato a metà del 1500 e da allora credo non abbia mai modificato la sua natura. Almeno non negli ultimi trent’anni di questo adesso son certa.
Avevo dei timidi ricordi un po’ offuscati dal velo del tempo che hanno subito ripreso corpo non appena ho guadagnato l’entrata. Il prezzo è da capogiro, (come per tutti i musei d’altronde) sei euro! Non so nemmeno se all’epoca con la scuola pagammo l’ingresso, ma di una cosa son certa: mai nessuno avrebbe pagato dodicimila lire per visitare un piazzale di modeste dimensioni con delle piante sistemate qua e là.
Tema: Visita all’orto botanico
“Ieri mattina tutti noi siamo andati con l’autobus, a visitare l’Orto Botanico. Un tempo si chiamava ‘Giardino dei Semplici’ perché vi si trovavano le piante medicinali dette appunto ‘semplici’; oggi queste ci sono ancora, contrassegnate da un cartellino giallo, ma ne hanno aggiunto altre ornamentali da tutto il mondo. Quando stavamo per varcare il portone d’ingresso, nessuno di noi si aspettava tanta bellezza e tanto silenzio al contrario della strada rumorosa e caotica. Avevamo a disposizione una guida, la Signorina Marina, che ha accontentato le nostre esigenze. Ci ha mostrato alcune piante che ancora oggi sono usate in medicina: erba di San Giovanni che cicatrizza le ferite, la Celidonia che con il succo cura i porri, l’erba gatta racchiusa in una gabbia, per evitare che i gatti la divorino, salvia, lavanda, capperi, la menta, i carciofi e tante altre. Andando avanti per i sentieri erano posti dei vasi grandissimi che contendevano azalee enormi rosa, rosse, bianche e con varie sfumature e sembravano nuvole colorate. In altre aiuole ci ha fatto notare piante che avevano più di cento anni, una aveva trecento anni. Alcune piante avevano delle particolarità, una persino aveva le radici in fuori perché cercavano aria ed erano più alte del livello dell’acqua, da lontano sembravano dei funghi. In un prato abbiamo scorto un abete siciliano piccolo, di due anni, in Sicilia ve ne sono solo ventitré, quindi per evitare che la specie si estingua ne hanno dati alcuni agli orti botanici. Ma la sorpresa più inaspettata l’abbiamo ricevuta entrando nelle serre calde, prendevano posto delle alte palme che cercavano luce dai vetri del soffitto. Il naso ci ha guidati fino ad una pianta dai chicchi rossi: era quella del caffè, i chicchi si trovavano all’interno del frutto rosso; lì accanto c’era la pianta del cotone con i batuffoli attaccati al ramo, quella del cacao con frutti lunghi e marroni che contengono i frutti da cui si ricava la polvere. In un’atra stanza era situata la pianta del pane, quella del pepe, quella del salame, il banano con le banane piccole e verdi, la canna da zucchero, il papiro con cui gli egizi facevano i fogli. Abbiamo visitato le serre delle orchidee e delle felci, delle piante insettivore, osservato i gigli simbolo di Firenze, infine Marina ci ha donato la pianta lenticchia, così detta perché minuscola, è acquatica e appena entrai in classe l’abbiamo immersa in un bicchier pieno. Tutti i giorni controlleremo le piante e ci ricorderemo della visita all’Orto Botanico che, oltre ad essere molto bello e interessante, è anche antico, costruito nel 1500 dopo quello di Padova e di un’altra città.”
Pensavo: ‘che bello rivivere i luoghi con l’entusiasmo di un bambino’ poi però ha fatto capolino quel fastidioso disincanto che s’impossessa del nostro corpo man mano che cresciamo. Probabilmente lo inaliamo con l’aria, in qualche percentuale insieme all’odio e al risentimento.
Oggi non vedo nulla di favoloso, nulla da descrivere con così tanta gioia, ci sono i soliti cartelli gialli, nascosti dalle foglie o appesi con un fil di ferro a dei rami. Mi domando: ma prima di aprire al pubblico potrebbero almeno dare uno sguardo a queste insegne sporche di terra e dargli una cenciata? (una pulita rapida col panno)
Vedo vasi in terracotta appoggiati ovunque, serre chiuse e buie sulle cui finestre sono schiacciate piante dalle foglie marcite che reclamano luce e spazio; un giardino zen che farebbe perdere la pazienza anche ad un monaco e dei paletti colorati ad indicare la categoria di piante che, a parer mio, non sposano affatto con l’antichità e l’eleganza del luogo. Insomma, un tuffo nel passato alquanto deludente.
Per fortuna c’è l’asparagus virgatus che ha la consistenza delle nuvole in estate, l’enorme quercia da sughero con quel tronco ondulato e rude che le conferisce ancora più imponenza e, l’olmo del Giappone alto 26 metri con quattro metri di circonferenza ed una corteccia che si sfalda lasciando scaglie di colore arancione appese a mezz’aria. Ci sono le piante dai nomi buffi come la magnolia denudata o la veronica beccabunga; c’è anche la pistacia e leggendo il suo cartellino mi sembra di essere uno straniero al bancone della gelateria mentre ordina il gusto pistacchio dicendolo in un modo totalmente arrangiato. Con immensa sorpresa trovo anche la pianta del viaggiatore e l’albero bomba dei quali avevo letto le storie nel libro il giro del mondo in ottanta alberi.
Qui l’albero più anziano (sopravvissuto) è stato piantato nel 1720 e ce ne sono altri sei risalenti al 1800 come la stupenda zelkova crenata in questo giardino dal 1880.
Hermann Hesse scrisse: “Gli alberi sono santuari. Chi sa parlare con loro, chi sa ascoltarli, percepisce la verità. Essi non predicano dottrine e ricette ma predicano, noncuranti del particolare, la legge primordiale della vita.”
Dopo tutto, delusione a parte, poter stare al cospetto di così tanti maestri secolari, è sempre un enorme onore.





















































