“Guarda questo cartello, c’è scritto non dare soldi ai monaci.”

“Ma che dici?”

“Sì guarda! Non dare soldi ai monaci perché sono impostori.”

“Dei finti monaci?”

“A quanto pare.”

“Vabbè tanto soldi non ne abbiamo quindi…”

 

Il monastero è situato sulla collina di Po Fook e non so nemmeno perché venga chiamato monastero, visto che non ci sono monaci al suo interno. Costruito negli anni Cinquanta da un professore devoto al buddismo e da suoi seguaci, questo luogo di preghiera è gestito interamente da laici.

Il fatto che non ci siano uomini in kesa però, non significa che sia meno sacro e suggestivo.

Non portarsi una bottiglia d’acqua non è stata proprio una gran mossa, ci sono ben 430 scalini oltre ad un sentiero tutto in salita che sì, ti permetterà di vedere una parte della città dall’alto coi suoi grattacieli color argento e una fitta vegetazione rigogliosa ma, ti farà anche perdere qualsiasi liquido tu abbia in corpo, lacrime comprese.

“Mi sento un po’ giudicata.”

“Ma se non ti sto dicendo nulla Daniè.”

“Non da te, da loro!”

Centinaia di statue dorate a grandezza naturale mi fissano mentre mi asciugo il sudore dalla fronte. Sono tutti Budda con diversi volti e fisici. Alcuni stanno con le gambe incrociate, altri in piedi, altri sdraiati o accovacciati o in bilico su qualche animale. Ce n’è uno che ha un braccio lungo tre metri e un altro che sta sopra un enorme pavone.

Giunti finalmente in cima, il santuario è così bello, da toglierti anche l’ultimo soffio di fiato che ti era rimasto.

C’è un enorme turibolo al centro del piazzale, c’è una pagoda rossa alta nove piani, ci sono statue di varie divinità coloratissime e dai volti arcigni, un ristorante vegetariano e un negozietto per i souvenir. Ma la cosa più bella è l’interno del tempio. Ci sono migliaia di statuette di Budda su tutte e quattro le pareti. Migliaia! Tutte della stessa piccola dimensione posizionate una vicino all’altra, dal pavimento al soffitto. É un’arredamento alquanto sbalorditivo. Confesso che ho sentito un senso di calore in petto e non sono sicura sia stata la pettata appena conclusa.

Poco distante, in un altro piazzale, si trovano i Budda in pietra associati al calendario cinese.

“Tu cosa sei Daniè?”

“Maiale.”

“Aahahhaha”

“Ma cosa ridi!?”

“Rido perché è un animale che fa ridere.”

“E sentiamo, tu invece cosa saresti?”

“Coniglio.”

“Appunto.”

Riprendo il cammino verso la città e cerco di non inciampare in discesa. Se dovessi cappottare qui in mezzo al nulla tra centinaia di volti che mi fissano, non basterebbero diecimila Budda d’imprecazione, dovrei comunque far ricorso ai santi nostrani.

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