“Buongiorno.”

Lei mi risponde con un inchino della testa e un’espressione che non decifro. Forse stanca forse scocciata.

“Mi scusi signora c’è un bagno per caso?”

“Chiedo.”

E la vedo allontanarsi con neanche troppa fretta verso la bella casa sulla destra, quella con un piccolo giardino antistante.

Aspetto in piedi e mi guardo intorno senza discostarmi dalla pietra sulla quale poggiano gravi i miei piedi.

Dopo dieci minuti decido di lasciare l’avamposto, mi muovo roteando su me stessa come si fa nelle sale di una mostra che non ti piace ma per la quale hai pagato un biglietto così caro che al diavolo! almeno un paio d’ore ci cammino avanti e indietro.

Dopo venti minuti e settanta foto scattate alla solito lampione nano, decido di abbandonare la mia casella e, senza nessun tiro di dadi mi allontano in silenzio.

Sono da sola in questa intima piazza dal sapore rustico (nonostante la grande scacchiera a terra). Probabilmente in Tibet ci sarà lo stesso dolce silenzio, gli stessi disegni sacri dai colori accesi, la stessa cura meticolosa per la natura circostante.

Vado verso il museo di arte sacra e cultura tradizionale quando sento dei passi muoversi veloci e furtivi alle mie spalle…mi giro di scatto…

“Scusi!”

La donna (diversa dalla precedente) si ferma senza girarsi come fanno gli attori nei film di spionaggio quando sanno di avere qualcuno che gli sta puntando una pistola alla schiena.

“Mi scusi signora avete un bagno da queste parti?”

“Chiedo” risponde senza neanche voltarsi. Apre e chiude una porta con così tanta rapidità che sembra quasi sia stata inghiottita dalla casa.

Ovviamente anche lei non fa più ritorno.

Una domanda inizia ad insinuarsi nella mente: ‘ma a chi cazzo andranno a chiedere?’.

Il museo è ricco di oggetti antichi e costumi tradizionali. Al momento del suono del gong sento ogni fibra del mio essere vibrare come il metallo del grande piatto battuto ripetutamente. Una sensazione accattivante e liberatoria. Nonostante siano molte le cose che non avevo mai visto, almeno non da così vicino, quella che mi ha colpito di più oltre ogni immaginabile aspettativa, è stata il mandala. Un disegno fatto con sabbia colorata da sei monaci tibetani in sei giorni interi di lavoro. Un’opera di una perfezione geometrica impressionante, come fosse un infiorata in miniatura. Si chiama mandala della medicina e, nonostante ne sconosca le virtù religiose, resto stupefatta dall’esecuzione.

“Grazie per la splendida visita…” dico prima di congedarmi all’uomo tibetano che mi ha fatto da guida “…e grazie per le spiegazioni, ma senta, non è che c’è un bagno qui nel museo?”

“No qui non c’è il bagno.” Mi invita ad uscire con gentilezza distendendo il braccio ad indicar la porta come farebbero le ballerine  del Bolshoi. “Però aspetti, chiedo”.

La porta si chiude e rimango di nuovo da sola in piedi come un’idiota.

Non rivedrò più nemmeno lui.

Mi sento Dustin Henderson di Stranger Things: confusa, coi capelli arruffati e un tenero sorriso da ebete.

Votigno non è solo un antico borgo medievale, è anche un luogo di raccoglimento spirituale, d’incontro tra culture e di immersione nel verde delle colline; sicuramente suggestivo ed unico se sei uno che pensa che isolamento, semplicità e natura siano tre cose che arricchiscono un luogo, l’importante quando si viene a visitare luoghi come questi è ricordarsi le due regole di vita fondamentali che tutti dovrebbero tenere sempre a mente: con gli amici dopo le 21 si esce già mangiati e, a Votigno ci si viene già pisciati.

 

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