Ci sono finita per puro caso dopo un volo cancellato in piena notte.
Ho sonno, poco tempo e il cielo sopra di me ha l’aria più minacciosa di uno stormo di condor che volano in cerchio su una carcassa nel deserto. Inizio a camminare senza meta guardandomi intorno come una damigella che sfila lungo la navata: mi giro a destra e a sinistra sorridendo ma lo sguardo non si posa su niente e nessuno.
Tutto sembrava essere andato liscio in effetti, se non fosse per un piccolo particolare: ero nella città in cui ha vissuto l’ultimo periodo della sua vita il Sign. Lewis Carroll ed io non lo sapevo. Cazzo.
Dopo averlo scoperto, ormai lontana centinaia di chilometri, ci sono rimasta così male che sono stata assalita da un’irrefrenabile voglia di acquistare un altro volo, nella sola speranza che mi venisse cancellato, per poter essere riaccompagnata a Guildford. Ovviamente non era poi così irrefrenabile perché, seppur Alice nel paese delle meraviglie sia un grande classico, si può sopravvivere senza aver visitato le stanze della dimora del suo autore. Credo.
Guildford è il capoluogo della Contea del Surrey.
Ha un centro grazioso, con una cattedrale degli anni 50 costruita in mattoni rossi, alcune case a graticcio un po’ storte dal tempo e negozietti dalle vetrine incorniciate da legno colorato.
Un cartello indica la direzione per raggiungere il castello, (ce ne fosse stato uno anche per la casa di Carroll sicuramente lo avrei seguito…comunque…) arrivo sino alla fine della strada principale e svolto a sinistra.
Inizia a piovere. Mi riparo sotto una stretta tettoia e infilo il lungo impermeabile grigio facendomelo calare dalla testa.
Il semaforo diventa verde e un fastidioso cicalio stridulo si attiva accompagnando i miei passi sino all’altro marciapiede.
Ha smesso di piovere.
Mi sfilo l’impermeabile con una certa difficoltà e goffaggine.
Il fiume Wey scorre senza far rumore tra un giardino e una strada trafficata. Ci sono enormi salici piangenti che accarezzano l’acqua con la lunga chioma.
Ha ripreso a piovere.
Rinfilo l’impermeabile srotolandomelo lungo i fianchi.
I cartelli dicono che devo girare ancora a sinistra.
Passo un piccolo ponte e mi ritrovo inaspettatamente a metà della strada principale percorsa quattro minuti prima.
Devo aver sbagliato qualcosa, non è possibile essere al punto di partenza.
Mi sfilo l’impermeabile perché nel frattempo è riuscito il sole.
Allora vediamo…l’indicazione dice di andare a sinistra, mentre i cartelli vicino al semaforo indicano a destra, beh, proviamo a destra allora.
Dopo un paio di chilometri e altre otto vestizioni e svestizioni, che nemmeno un prete alle funzioni della domenica mattina, mi do per vinta.
Sto cazzo di castello o lo stanno ancora costruendo o ha la forma di un supermercato ed io ci sono passata davanti venti volte senza rendermene conto.
Mi fermo a prendere un tè in uno dei vicoletti del centro, piccole strade che ospitano locali arredati con gusto, ristoranti etnici e botteghe di artigiani.
Ripenso ai prati verdi dei giardini in riva al fiume, alle simpatiche papere che ci planavano sopra; mi tornano in mente le gocce di sudore lungo la schiena, i ragazzi in fila fuori dai ristoranti take away e il fumo sinuoso che danzava sopra le tazze di tè. Ricordo le nuvole grigie cariche di acqua e le finestre bianche divise in quadrati. Il suono stridulo del semaforo pedonale e le donne in infradito nonostante il tempo inclemente. Ricordo molte cose piacevoli ma tra tutte, quella che mi rimarrà sicuramente più impressa sarà aver mancato castello e casa di Carroll.
E questa volta: Guildford 1- Daniela 0.


























