Mi sono svegliata alle 05.40 con la voglia di gelato al caffè e limone. 

Ho avuto molteplici perdite di bava durante tutta la mattina.

Pensavo al cono limone e caffè e zac! piccole goccioline trasparenti e vischiose scivolavano ai lati della bocca. 

Un paio di volte ho fatto in tempo a risucchiarle. 

Farlo produce un rumore strano, come di centrifuga inceppata. Mi sono guardata intorno con circospezione muovendo freneticamente gli occhi a destra e a sinistra per assicurarmi che nessuno mi stesse guardando. A quanto pare sono poco interessante.

Forse solo national geographic avrebbe potuto dedicarmi uno spazio. 

Ora dopo ora, risucchio dopo risucchio, finalmente m’ incammino verso il gelataio.

Non uno qualunque. 

Quello più scomodo della città. 

Le gambe si dividono i compiti: la destra batte il tempo sul limone e la sinistra sul caffè, cammino ripetendo, limone e caffè, limone e caffè, limone….e caffè! 

Chissà perché mi viene in mente Pierino, che tra l’ altro, non mi è mai piaciuto. 

Arrivo davanti la gelateria. 

Mi sorpassano 8 giapponesi.

Si muovono in branco così velocemente da travolgermi. Sembrano quei pesciolini piccoli piccoli che nuotano vicino la riva e zigzagano come in preda ad attacchi isterici. 

Aspetto il mio turno senza sorpassare, tanto sono dentro (come disse lo spermatozoo stanco). 

Ordino pago e afferro il cono. 

Tuoni, fulmini e saette. Un vento gelido si scatena e le nuvole si tingono di nero. 

Volano cartacce, si alzano gonne , cascano bici sui marciapiedi, pagine di giornali sbattono sui cofani delle auto e sulle vetrine dei negozi. 

Corrono tutti. 

Tranne me. 

Do una prima leccata al limone, asprigno e pungente. 

I capelli piroettano vorticosamente e si spalmano sul caffè. 

Afferro la ciocca con la mano e me la ciuccio. 

Il vento si porta via le prime gocce di gelato che finiscono sul giaccone. 

Vengo schiaffeggiata dai miei stessi capelli che mi finiscono in gola. Sti stronzi!

Provo a dare una seconda leccata. 

Il vento porta via tre quarti di gelato. 

Un uomo con l’ombrello girato mi osserva e io, che di girato ho l’umore, do un morso al cono con la stessa sensualità del lavavetri in salopette che andava sino al trentaduesimo piano a scroccare una lattina di Coca-Cola da delle bionde in calore.

Devo aver fatto colpo perché, l’ombrello torna dritto. 

Ormai c’è poco di che godere, il caffè sa di pioggia e il limone sarà finito laggiù da qualche parte, i capelli stan su da soli e ho speso 3 euro per due misere leccate. 

Lo sapevo io…

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