La mattina presto.
In montagna si va a camminare la mattina presto.
Dovrebbe essere una regola ferrea inoltre, se arrivate all’ora in cui si svegliavano i reali del 1600 dopo una sbronza epica, il posto per l’automobile lo trovate col binocolo (per non dire con un’altra cosa).
Prendete esempio: alle 6.00 spaccate, io e il mio cane eravamo già in cammino con un discreto entusiasmo, appetito e sonno. L’aria, ancora frizzantina, sembrava voler sorreggere il peso del corpo accompagnandolo lungo la salita; sulle nostre teste qualche timida nuvola e una seggiovia ancora dormiente.
Non sono pratica di percorsi in montagna infatti, dopo la prima sfiancante pendenza, mi ritrovo a seguire uno stretto viottolo che serpeggia sul crinale. “Mi sa che non porta da nessuna parte!” Guardo il cane che con sdegno e rassegnazione si siede in attesa della geniale mossa successiva.
Impasse: difficoltà che non permette soluzioni o vie d’uscita. Proprio quella nella quale mi ritrovo io dopo circa tre ore di cammino.
Per una che riuscirebbe a trovare la strada anche in una metropoli mai visitata, essere totalmente all’oscuro sulla propria posizione in un luogo che offre visuale a 360° è ridicolo. Torno sui miei passi con la stessa nonchalance di Hänsel e Gretel quando si accorgono che gli uccellini hanno mangiato tutte le briciole. Ci metto un pò ma alla fine raggiungo la prima tappa. Il lago piatto.
Un piccolo specchio d’acqua all’interno del quale vien voglia di tuffarsi. Limpido e con una breve spiaggia sabbiosa tutt’intorno. Mi vengono in mente le storie dei primi insediamenti americani, quelle descritte nei film, quelle che raccontano gli spostamenti di intere famiglie a bordo di calessi colmi di mobilio.
La scena la immagino un po’ così:
“Francooo!”
“Oohh!”
“Senti io mi fermo qui!”
“Ohi Peppe, continuiamo ancora un po’ sono solo otto settimane che giriamo tra queste montagne.”
“Ohi Frà basta! Qui mi piace. C’è il ruscello che scende dalla montagna, il terreno laggiù è pianeggiante, dopo quel bosco c’è un laghetto piuttosto profondo. Direi che qui è perfetto.”
“Vabbè allora come ce la spartiamo sta terra?”
“Da qui a là è tua e da qua a laggiù in fondo è mia.”
“Fino a dove? Fino a quel masso?”
“Sì fino al masso.”
“Compreso?”
“Sì compreso.”
“Eh no! allora tu ne hai di più!”
“Ma tu hai più alberi”
“Ma tu hai la parte alta del ruscello.”
“Ma tu…..”
“Dagli quel cazzo di masso!” grida la moglie dalla carrozza mentre cerca di sciogliere le funi che tengono uniti i bagagli e il mobilio.
“E va bene!” Grida tra i denti il marito mentre pianta il primo palo di una lunga staccionata.
Quelli chi che dovevano essere stati bei tempi. Non avevi l’elettricità, il motorino, le medicine, il telefono, ma che diamine…potevi correre felice spensierata e sorridente giù per le montagne più veloce di Maria Rainer.
Al lago nero manca ancora un po’, il sentiero è discretamente pianeggiante e la voglia di arrivare non fa sentire la fatica accumulata. Lo spettacolo naturale che ci si presenta davanti è emozionante. Non c’è assolutamente niente di più bello di un luogo verde ancora incontaminato. Scendo fino al rifugio per fare rifornimento di acqua fresca e per avvicinarmi quanto più possibile al lago. (Ci abitano i tritoni blu, creaturine troppo simpatiche)
La montagna non delude mai. Per me è uno dei luoghi più affascinanti soprattutto nel periodo estivo; tutto questo verde, l’aria pulita e il silenzio ti fanno quasi dimenticare quanto brutto stia diventando questo mondo.
Peccato che… tanta fatica per arrivare fino a qui e poi dopo poco tocca ripartire.
Quasi quasi a pensarci bene un po’ mi fanno invidia Franco e Peppe, eh sì, perché loro hanno trovato il loro spazio nel mondo.




















