Lo chiamano walkie talkie ed è semplice capire il perché. Uscendo dalla metro non ho neanche bisogno di chiedere indicazioni poiché lo noto subito, fa capolino dietro una fila di eleganti palazzi londinesi. Arrivo tutta euforica davanti l’ingresso con in mano il mio bel codice di prenotazione.

“Hello I have a reservation.”

“Restaurant or garden?”

“Garden.”

“Ok” si sposta di qualche passo invitandomi a seguirlo “This is the queue. Please get in line.”

Ringrazio sorridendo mentre penso ‘la maiala che coda! Ci schiaccio tre ore qui’.

Faccio il check vescica ballonzolando un po’. ‘Mmm, mi sa che non riesco a reggerla per tutto questo tempo’,  saranno almeno duecento le persone incolonnate lungo il fianco del grattacielo. Opto per la ricerca di un bagno. Poco distante un bar che fa spremute, centrifughe e frullati mi sembra il posto ideale.

Entro senza neanche salutare e vado dritta in fondo al locale ma un piccolo cartello bianco sul cui sfondo campeggia una faccina sorridente (a presa di culo evidentemente) recita ‘customers only’. Mi metto in coda per la cassa e butto lo sguardo in alto sull’enorme pannello-menù appeso alla parete dietro il bancone.

‘Quanta poca fantasia’ penso mentre scorro la lista dei nomi: energetico, dolce, super fragola, detox… che poi io dico… ma nemmeno le case farmaceutiche hanno così poca inventiva! I nomi sono importanti cazzo, se sto posto fosse mio, frullati e centrifughe si chiamerebbero: oggi non gliela fo , c’ho un languirono, cellulite e rughe nun ve temo , è più voglia di qualcosa di buono, ho corso troppo, c’ho un sonno boia, un c’ho voglia di fare una cazz* e, probabilmente quello che diventerebbe il fiore all’occhiello del locale: fallo come te pare. 

Comunque, mentre le stronzate prendon forma in testa, arriva il mio turno e, dopo aver ordinato un detox, mi avvicino al tavolo per controllare la ragazza nascosta dietro a degli immensi frullatori.

Senza perder tempo alza il coperchio del mixer ed inserisce un cetriolo senza manco sbucciarlo, otto etti di zenzero, una mela verde, del trito di datteri, una manciata di spinaci, la parte ammaccata di una banana, una pesca con tutto il nocciolo, una mezza dozzina di fragole congelate, due prugne, sette quintali di cubetti di ghiaccio… la guardo intimorita mentre fruga nei cassetti in cerca di qualcosa ‘e mo’? Che ci vorrà mettere? Due chiodi? Un po’ di segatura?’ Intimorita decido di batterla sul tempo: “May I also have some mint leaves”. Mi guarda con aria schifata come se avessi chiesto di mettere della maionese sul tiramisù poi mi porge l’enorme bicchiere con un litro e mezzo di bevanda dal colore molto poco invitante.

Suppongo che nemmeno dopo nove maratone (consecutive) una persona sana di mente riuscirebbe a finire una cosa del genere, ma io, che le maratone non le faccio,  inizio a sorseggiare con gusto proprio come si fa con i whisky pregiati.

Finalmente vado a mettermi in fila sotto al grattacielo accalcandomi ad una ancor più numerosa folla di visitatori quando all’improvviso un illuminazione mi blocca il respiro: ‘Cazzo non ho fatto la pipì!’

Mannaggia la miseria mi son lasciata distrarre come una pirla da quella scorbutica inserviente e ora mi ritrovo in mezzo ad una coda senza alcuna via di fuga, la vescica piena e un bibitone in mano. Che colpo tremendo. Un po’ come andare al supermercato per comprare il pane e uscire con un carrello pieno di cose, tranne il pane.

 

A gruppi di otto ci chiudono dentro l’ascensore e in pochissimi secondi raggiungiamo il 35esimo piano.

La vista da quassù è pazzesca. Ci sono vetrate enormi, piante di tutti i tipi, tavolini, lunghi banconi bar e, fortunatamente, anche i bagni.

Finalmente libera da ogni sorta di liquidi, mi aggiro nell’ambiente con l’entusiasmo di un marito all’idea la domenica pomeriggio. Ad essere sincera mi aspettavo una vera e propria giungla, (il nome faceva ben sperare in questo caso) invece l’ambiente è meno accogliente di quello che m’immaginavo, le piante sono poche e disposte solo lungo le scale, fungono da mera decorazione, non è un vero e proprio Garden. Non ci sono installazioni che scendono dal soffitto o edere rampicanti che strisciano sulle lisce finestre di vetro e acciaio.

Fortunatamente tutto ciò che manca viene però ricompensato dalla terrazza fronte Tamigi e dal suo affaccio esclusivo sulla città.

C’è qualcosa di magico nel poter osservare il mondo dall’alto, una prospettiva innaturale che fa sempre emozionare. Sopra i tetti dei palazzi ci sono piccole realtà nascoste che per me hanno un gusto tutto cinematografico: sdraio colorate intorno a piscine gonfiabili, pavimenti di finta erba su cui vengono sistemati sgangherati tavolini abbelliti da grandi candele, gazebo in legno con vasi ricchi di fiori; laggiù scorgo anche dei ragazzi seduti su divani, sembra che stiano chiacchierando e bevendo birra… mancano all’appello solo la bella ragazza che fa yoga ed il gruppo di uomini riuniti intorno ad un barbecue e potrei gridare “ciack si gira!” ed iniziare le riprese.

 

 

 

You May Also Like

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *