Il tempio del padiglione d’oro è un vero gioiellino. Bruciato più volte nel corso della storia, oggi risplende di luce propria e, vanitoso come una modella al primo servizio fotografico, si specchia nel lago come a voler controllare che la sua bellezza non svanisca all’improvviso.

Quello che amo dei giardini giapponesi è la morbida simmetria; cammino come un bambino nella corsia giocattoli del supermercato, non so dove poggiare lo sguardo, è tutto così bello, i colori mi attirano come scritte al neon nella notte, cerco di dare tutto l’attenzione dovuta alla giovane carpa che nuota in cerchio, alle sue macchioline nere sulle squame color carota; cerco di percepire ogni piccolo movimento delle foglie degli alberi che si muovono seguendo il ritmo del vento. Cerco di notare tutto ma, potrete capire il mio imbarazzo… è difficile concentrarsi quando hai davanti un tempio dorato!

É lui la prima donna in questo palcoscenico verde. É lui che catalizza l’attenzione dei visitatori.; il soggetto di centomila scatti al mese (forse più); lo sfondo di selfie, foto di famiglia e cartoline per paesi stranieri.

Impazzisco (letteralmente), riesco a fotografarlo in ogni sua angolazione. Mi sdraio persino a terra per poter catturare quella luce che trafigge le foglie e lo accarezza cautamente. E mi è costato fatica farlo, parecchia!, è costato fatica anche a quei tre omaccioni americani che mi hanno aiutato a tirarmi su… (cosa non ci si inventa per attaccar bottone). Ma l’ho fatto per lui, per quel piccolo tempio d’oro, che ne ha passate tante ma che ancora si mostra fiero a chi, come me, lo disturba durante quella sua pace, fuori dal tempo e dalla realtà.

 

 

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