Ci dirigiamo verso la strada che porta al Machu Picchu quando il sole deve ancora sorgere. La fievole luce si fa spazio nella notte mentre lungo il fiume che attraversa Aguas Calientes, ci sono centinaia di persone già in fila per accaparrarsi un posto a sedere sul primo pullman per la vetta.

Li superiamo tutti e continuiamo su una strada sterrata e polverosa che conduce fuori dalla cittadina. Abbiamo deciso (in un momento in cui eravamo totalmente sobri!) che fare chilometri in salita su scalini in pietra era il percorso migliore. L’alternativa dell’autobus che corre su stretti tornanti (e che ogni tanto cade giù) non è stata mai nemmeno presa in considerazione.

“Ti prego lasciami morire qui! Tu raggiungi gli altri io resterò per sempre seduta su questo sasso.”

“Piantala Daniè e muovi il culo!”

“Mi mangeranno i leoni lo so, e ci metteranno un paio di settimane e finirmi”

“Non ci sono i leoni qui!”

“Ne sei certo?”

“Danie non farmi incazzare! Respira col naso, fai un passo dietro l’altro, con calma e sali.”

 

É stato completamente inutile aver spruzzato su tutto il corpo (vestiti e scarpe compresi) litri di repellente perché, finalmente giunta in cima, ero così sudata (ma così sudata!) che nessuna zanzara era riuscita ad atterrare su di me, scivolavano via come una donna con le ballerine su un marciapiede ghiacciato.

Piango a singhiozzo per l’emozione di avercela fatta e, per la felicità di aver scansato l’embolia polmonare al terzo chilometro quando le forze e la fiducia in me stessa stavano per abbandonarmi. Applausi degli astanti, abbracci degli amici ed una corsa in bagno che nemmeno Bolt al rush finale, questo è tutto ciò che mi ricordo dei miei primi momenti sul piazzale della biglietteria che concede l’ingresso ad una delle sette meraviglie del mondo moderno.

Dopo un cambio di maglietta ed un paio di litri d’acqua scolati in meno di dieci secondi, ecco che la nostra guida ci raggiunge. Sembra una rock star nel suo tracollo psicologico dopo anni di inattività. capelli a caschetto lisci neri, occhiali Ray-Ban a goccia e marsupio colorato 3 kg stretto in vita.

“Seguitemi, c’è da fare un po’ di salita”

-Ancora?- Penso tra il disperato ed il rassegnato.

Anche gli anziani col bastone mi superano, è come vivere una continua umiliazione, questo percorso verso il terzo sito archeologico più esteso del mondo sta diventando un’agonia quando all’improvviso…. eccolo!

Una lacrima scende solcandomi la guancia, questa volta è l’emozione. Tutt’intorno alte montagne ricoperte di vegetazione si susseguono donando al paesaggio un paesaggio che assomiglia ad un acquerello. In mezzo a tutta questa natura selvaggia ci sono resti di case costruite in roccia, ordinate, senza tetto, che occupano l’intera sommità della montagna.

“Sapete, questo villaggio risale a poco prima del 1500”

“1500 cosa?”

“1500 dopo Cristo”

“Dopo?”

“Sì, dopo Cristo”

“Ma come cazzo è possibile! Noi avevamo Michelangelo che dipingeva il Giudizio Universale e loro qui stavano a montare le case con le pietre?”

Io scoppio a ridere nonostante sia in carenza di ossigeno, vedo la guida contrariata e mentre continuano ad elencare pittori scultori e poeti che in quell’epoca stavano dando il meglio di loro in Patria…io resto in silenzio immaginando la fatica che avranno dovuto fare gli abitanti di questo paese nel portar su massi così grandi dalla costa del Paese sino a qui.

Vivere all’ombra delle creste delle montagne doveva essere davvero poetico, è un luogo che infonde una pace profonda nonostante il brusio di sottofondo dei turisti intenti a fare gli album fotografici. Pare che un tempo, nel bel mezzo della piazza centrale del centro urbano, ci fosse una statua di notevoli dimensioni, rimossa negli anni 70 da un ministro che aveva bisogno di spazio per far atterrare l’elicottero per politici e vip che avevano voglia di visitare il sito archeologico. (Ci rendiamo conto dell’idiozia vero?)

Scoperta per caso nel 1911 da un ricercatore americano, la cittadina di Machu Picchu era completamente ricoperta dalla vegetazione e, se non fosse stato per il racconto di alcuni bambini di contadini che abitavano ai piedi della montagna, il Signor Bingham non l’avrebbe mai trovata.  “Conoscete qualcosa di bello sui sentieri inca?” “Boh non lo sappiamo, ma c’è un villaggio più in sù se le interessa” “Che tipo di villaggio?” “Un posto vecchio, con case in pietra tutte rotte, i rovi le hanno quasi coperte ma noi ci andiamo a giovare a nascondino, è divertente ci vuole venire?” “Ma certo!”

Immagino la storia si sia svolta più o meno in questo modo. La nostra guida ci parla della storia prima e dopo la scoperta, di solstizi, di pietre che si incastrano perfettamente, di templi ed imperatori. Credo di aver sentito qualcosa sullo sfruttamento economico del sito a discapito del Perù sino all’entrata nell’elenco del patrimonio Unesco nel 1983 ma… inizio a distrarmi, mi isolo ed attraverso le vie in silenzio. Accarezzo i freddi massi grigi, il soffice prato verde e sorprendo dei lama color crema impolverati e mansueti che pascolano lungo il crinale. Tutto il perimetro del villaggio permette di godere di una vista a strapiombo tra le pareti delle montagne. Ci sono moltissime farfalle, quasi tutte color ambra e marrone, e c’è una piccola sorgente d’acqua che scorre lungo uno stretto canale in pietra. Mi fermo e immergo le mani sotto lo scroscio ghiacciato, mi piego e ne assaggio un sorso. Al sorgere del sole come al tramonto, Machu Picchu dev’essere qualcosa d’incantevole.

Prima di uscire, mi volto almeno cento volte, chi mai ci tornerà più fin quassù, questa è stata la mia unica occasione per visitarlo e, come tutte le cose che sai che non rivedrai più, le lasci con un certo magone, come se non avessi dedicato abbastanza tempo a volergli bene.

Scendere per quegli gradoni sconnessi è stata ancor più dura della salita. -e se scivolo e me la faccio tutta di culo non arrivo prima?- penso mentre provo a non cadere tra uno scalino e l’altro.

“Dai daniè appena arrivati ad Aguas Caliente mettiamo il timbro sul passaporto e poi ci beviamo una bella birra ghiacciata”

“Posso averne due?”

“Puoi averne anche tre, ma ricordati che la nostra stanza in albergo è al quarto piano…senza ascensore.”

 

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