Autore: Charles Duchaussois
Non nascondo che ci sia un certo fascino dietro la storia di quest’uomo. Bello e tenebroso, orbo da un occhio per colpa di una scheggia di bomba che lo ha colpito quando aveva solo quattro mesi, intelligente e di buon cuore, con un futuro sicuramente radioso se non fosse stato per… un solo, breve, inevitabile commento pronunciato dell’esaminatore di guida il giorno del suo esame per la patente.
È bastata un’unica frase per cambiare in un istante la percezione del mondo ed il suo rapporto con esso.
“…dopo un po’ inizia a piacermi davvero tanto non essere in regola…poi le cose accelerano…accumulo debiti e stringo cattive amicizie…”
A novembre del 1962, poco più che ventenne, con cinquecento franchi in tasca, parte in autostop verso Marsiglia per poi approdare qualche tempo dopo nella città vecchia di Istanbul dove resterà sino al 1969. Era l’anno in cui i giovani provavano le nuove droghe, intraprendevano viaggi, si facevano chiamare hippie e vivevano di sogni. E proprio come tutti quei giovani anche Duchau si diede alla fuga per inseguire l’ignoto.
Il viaggio di Charles non va inteso solo geograficamente, è un vero declino che inesorabile, lo porta ad una trasformazione esistenziale e fisica, ad un inaridimento dell’essere. È uno spostamento che ha più facce: è il viaggio tra paesaggi e culture, il viaggio introspettivo, il viaggio da turista, il viaggio sensoriale e extracorporeo che lo stupefacente gli procura quotidianamente.
Nel giro di qualche capitolo il giovane Charles diviene un tossicodipendente, un drogato. E lo fa per scelta, coscientemente, senza mai sottrarsi a droghe nuove, a sbornie e a perdizione. Per qualcuno diviene un maestro di eroina, per altri il perfetto fumatore di cilum; sarà spacciatore di oppio ed intenditore di marijuana. S’innamorerà, vomiterà, trufferà, finirà in prigione, in ospedale, al grand hotel vedrà amici morire di overdose e introdurrà giovani alla droga con la stessa disinvoltura di un padre che vuole insegnare ai figli ad andare in bici. Una discesa agli inferi con il biglietto pagato.
Questa biografia è cruda, sincera e a tratti entusiasmante. Fa piangere, provoca ribrezzo, talvolta paura ed odio profondo ma, in qualche modo, fa anche riflettere e sperare. La chiamano ‘la bibbia delle droghe’ ed in effetti tra queste pagine vengono elencate, spiegate ed analizzate probabilmente meglio di qualsiasi altro testo che tratti l’argomento, non fosse altro perché lui le prova veramente sulla sua pelle. Ma ridurlo ad un ‘elogio dello stordimento’ sarebbe assai sbagliato. Non lo è affatto.
È invece un elogio alla vita, alla difficoltà che si presenta dietro ad ogni angolo e alla capacità di affrontare sempre ogni ostacolo cercando di rimanere in piedi.
“…È molto facile fare un brutto viaggio. Basta prendere l’ Lsd quando sei troppo nervoso…”
Lo spaccato di una società che non ci è mai stata mostrata ma di cui migliaia di giovani hanno fatto parte. Una comunità che a Katmandu come in altri luoghi d’Oriente, era divenuta assai corposa all’inizio degli anni Settanta. Giovanissimi in cerca di avventura che si lasciavano convincere a provare droghe e che erano pronti a lasciar andar via la vita in cambio di quell’unico istante di beatitudine: il ‘flash’.
Un diario di viaggio in pieno stile, un libro di ricordi dettagliati e precisi, il racconto di una vita che viene vissuta in un modo così assurdo che la follia sembra quasi trasformarsi in coraggio.
“…Charles, hai sbagliato tutto nella vita. La droga ti ha bidonato. Sei un tossico, un junkie, come quello che guardavi con tanta curiosit, senza capire, a Karachi, ricorda. Sei finito. Sei un gatto che sente la morte arrivare e se ne va a morire in disparte…”
Interessante sotto molti punti di vista: per conoscere gli anni Settanta ad esempio, o per sapere come si viveva in Nepal in quel periodo; come si è diffusa la droga da Est ad Ovest e quanto rapidamente possa portare alla morte ed in che modo certe volte, anche se dicono il contrario, la soluzione giusta non è quella più facile.
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