Autore: Colin Thubron
Questi libri non sono solo racconti di viaggio, sono la nostra memoria.
È proprio ciò che fanno i testi di viaggio: lasciano traccia di ciò che c’è, di ciò che c’era e azzardano una previsione su quanto ci sarà.
Lo scrittore londinese ha una penna a parer mio non troppo fluida ma, riesce ad appassionare. Il suo itinerario in Siberia è davvero intenso, sia per le distanze percorse che per gli incontri vissuti. Colin, da solo in questo sconfinato territorio il più delle volte inospitale, ci accompagna a scoprire la realtà di popoli che sono lontani dagli occhi; tra una vallata, un’altura e un lago ghiacciato, intere generazioni nascoste in piccole città così remote, che il solo poterle raggiungere è già di per sé una conquista.
“Cercavo di trovare l’anima della Siberia, laddove pareva non essercene alcuna; o almeno di essere testimone per un istante del suo passaggio attraverso le macerie del comunismo…”
Il territorio siberiano occupa un dodicesimo delle terre emerse di tutto il Globo. Pochissimi stranieri hanno potuto visitare e documentare i territori di questa vasta regione geografica. Teatro di orrende persecuzioni, luogo in cui sorsero campi di concentramento e vennero aperte miniere, entrambi posti di prigionia nei quali furono trasferiti forzosamente intellettuali, dissidenti politici, eretici, delinquenti e chiunque risultasse scomodo al partito comunista. Una valle oscura che ha mietuto vittime per decenni, basti pensare che solo durante il periodo di Stalin, sono stati uccisi più di trenta milioni di persone.
E così, anno dopo anno, deportazione dopo deportazione, esilio dopo esilio, uno dei luoghi meno ospitali al mondo, venne popolato da persone che non avevano nulla in comune tra di loro e che si andavano a mescolare e scontrare con i clan e le realtà etniche già presenti.
Quassù le temperature possono scendere sino ai -70° e le distanze tra un centro urbano e l’altro sono immense, eppure, si percepisce tutto il fascino di una natura incontaminata che Thubron riesce a riportarci in tutta la sua magnificenza mentre scorre sotto ai suoi occhi al di là dei finestrini di treni, autobus e automobili a bordo delle quali viaggerà.
La lettura, che a tratti scorre lenta, incontra storie scomode ed immagini crude attraversando da est a ovest (come la famosa transiberiana) l’intera regione.
Un uomo solo, che viaggia zaino in spalla dal centro di Londra, suscita non poca curiosità negli autoctoni e, sovente, incontrerà persone che gli offriranno ospitalità e qualche pasto caldo. Ed qui, nel silenzio delle umili dimore siberiane, che questo romanzo da il meglio di sé.
Donne e uomini che ci mostreranno lati di un mondo ancora poco descritto ed esplorato, uccisioni, privazioni, politiche sbagliate; la Siberia appare come una casa abbandonata, nella quale gli abitanti, fuggiti per chissà dove, hanno lasciato quasi tutto, foto, mobilio, ricchezze e speranze.
Si beve per resistere al freddo e per sopportare un’esistenza che non sembra promettere nulla di buono.
“Il nostro non è certo un governo degno di stima…è semplicemente il governo che ci meritiamo…”
Sembra che in siberia non si possa fare nulla, che il gelo ostacoli movimenti e pensieri invece, questo territorio, ha avuto dei grandi popoli nomadi, dei conquistatori, dei coltivatori e cacciatori instancabili, ha subito conquiste e carestie. Gruppi di popoli che non hanno mai conosciuto la tranquillità, che hanno subito l’arrivo di esiliati, che hanno scoperto il grigiore delle prime industrie e l’oscurità delle miniere punitive.
Questo romanzo di viaggio ha la ricchezza di un documentario e la gentilezza di un educato scrittore.
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