Autore: Ray Livingston. (Autore e protagonista)
Libro noioso, un racconto poco dettagliato e per nulla avvincente di un viaggio in treno da Oackland a New York.
Ovviamente… essendo Ray il Re dei vagabondi e, il suo amico Jack, un degno compagno di avventura, il treno non lo pagavano affatto anzi, riuscirono nell’impresa di questa lunga traversata rischiando ogni giorno la vita, la galera e i temuti lavori forzati. Purtroppo, nonostante sia basato su storie personali realmente accadute, la narrazione non mi ha appassionato un solo secondo.
Ho trovato invece molto tenero e toccante il motivo per il quale Ray si è ritrovato a vivere di espedienti in mezzo alla strada per così tanti anni. Per una nota presa a scuola. Lui per paura della reazione dei suoi genitori, sgattaiola fuori casa per non fare più ritorno.
Da questo libro ho imparato: anzitutto chi è un Hobo. Essere Hobo è abbracciare un vero e proprio stile di vita. Termine nato nella seconda metà del 1800 per definire i vagabondi che per scelta decidevano di vivere per strada, di abbracciare un’esistenza semplice, viaggiando per il solo piacere di viaggiare, spostandosi continuamente e svolgendo alla bisogna qualche lavoretto.
Ho imparato che Ray, conosciuto come A-N°1 , ideò un vero e proprio vocabolario Hobo, fatto di simboli e disegni che permettevano di capire che difficoltà potessero esserci in una stazione, in una cittadina o in un quartiere. Chiunque conoscesse il significato di quelle scritte poteva sapere a cosa andava incontro ad esempio, poteva scoprire se c’erano cani pericolosi, poliziotti corrotti, galere pulite, padroni di casa che offrivano cibo o alloggio.
Ho imparato che ogni Hobo aveva un soprannome. Diventava ciò che faceva. C’era il Dummy, che si fingeva sordomuto, lo Stick che aveva perso una gamba a causa di un treno, la Gun Moll cioè una vagabonda pericolosa, l’Alkee Stiff era l’alcolizzato cronico e il Gink un uomo giovane che ogni tanto lavorava…e così via.
Il libro è corredato di alcune vecchie foto di locomotive e stazioni e di Hobo scomodamente nascosti sotto i treni a dimostrazione delle consuete pratiche di ‘freighthopping’ cioè: l’antica arte del viaggiare a sbafo.
Nel complesso le curiosità sono state molte, devo ammetterlo, peccato per la narrazione che proprio non scorreva.