Autore: Dominique Lapierre
Un diario di viaggio o un’inchiesta? Non saprei bene come definirlo, di fatto in questo libro pubblicato nel 2011, Dominique ripercorre i suoi viaggi in India; quei soggiorni che gli hanno permesso di scrivere nel 1985, un best seller tradotto in 31 lingue (‘La città della gioia’) ed altri libri più e meno recenti ad esso, nei quali l’India è sempre la protagonista indiscussa.
Quando, agli inizi degli anni Settanta, Lapierre intraprende, insieme al collega Collins, il suo viaggio verso Nuova Delhi a bordo della sua fiammante Rolls-Royce Silver Cloud, è un inviato speciale del settimanale Paris Match ed è intenzionato a scoprire cosa fosse successo in quel lontano paese dopo la proclamazione dell’indipendenza dal Regno Unito. Chi erano quei signori feudali a cui era stata affidata la sovranità a partire dal 15 agosto 1947?
Viaggia come un nababbo, diciamolo, bastano una ventina di pagine, e sono già dannatamente invidiosa di lui. Vive la vita che avrei voluto vivere io, è benestante, completamente spesato, ovunque vada viene accolto come un Re da chiunque, gli vengono aperte le porte di ambasciate, club privati, palazzi principeschi, dimore di Maharaja, i villaggi lo osannano e lo portano in trionfo, gli viene offerto di tutto, sul comodino delle sontuose camere d’albergo o residenze milionarie nelle quali è ospite, trova biglietti sui quali deve apporre la preferenza del mezzo di trasporto che desidera utilizzare per i suoi spostamenti: cavallo, macchina, portantina, carrozza o… dorso di elefante?
Partecipa a cacce grosse, (unica parte che non invidio), entra nei salotti destinati ai soli Capi di Stato, intervista la figlia di Gandhi, il fratello del suo assassino, Madre Teresa di Calcutta, Principi, Generali, il vice Re d’Inghilterra, gente comune e alcuni tra gli uomini più ricchi del Pianeta. Per lui ogni giorno è una festa.
Lapierre è un vero segugio, ci svela un sacco di segreti interessanti, nascosti sotto al tappeto come fanno di consueto i vari governi, ad esempio: l’enorme spesa che l’Inghilterra ha dovuto sostenere per proteggere la vita di Gandhi durante i suoi spostamenti. Lui amava viaggiare a piedi e, quando le distante non lo consentivano, saliva su un treno, in terza classe, per stare accanto a lebbrosi e contadini poveri. Beh, in quella terza classe non è mai stato realmente accanto a poveri connazionali ma, a militari e polizia travestita di tutto punto al solo scopo di proteggerlo. Cifre folli per proteggere qualcuno che ha creato l’indipendenza. La storia è zeppa di beffe, nulla è mai ciò che appare. Le sue interviste hanno contribuito a rendere il giornalismo grandioso.
“…Avevamo messo insieme più di duemila testimonianze inedite e circa cinquecento chili di documenti…”
Essere pagato profumatamente per viaggiare al fine di scrivere un libro, ditemi quale vita può essere più meravigliosa di questa?
“Un paese continente , un immenso mosaico di popoli razze, caste religioni, culture…seicentocinquantamila villaggi, dove si parlano più di settecentocinquanta lingue. Dove si adorano venti milioni di divinità…in cui il sublime si mescola talvolta all’atroce…”
Poi, inizio a leggere la seconda parte del libro.
L’India sontuosa sparisce come d’incanto. Ecco le brutture del paese. I problemi demografici, gli slum lerci che accolgono migliaia di persone nulla tenenti nulla facenti e affamate, gli scarafaggi, le tarantole, la lebbra, la malaria, i bambini con la tubercolosi e gli storpi seduti sulla sporcizia ai bordi delle strade. Gli orfani, la miseria, quella vera, i riti funebri e le feste che si fanno per gioire di qualcosa di bello anche se tutt’intorno sembra un inferno imputridito.
“…Per lunghissimi tratti la carreggiata è a una sola corsia. Incrociare profondamente un veicolo diventa un duello all’ultimo sangue. É come giocare alla roulette russa. I camion sovraccarichi rifiutano sistematicamente di cedere il passo…”
É tutto complicato, Dominique quell’India se la suda, la vive con passione, la divora. Il suo è uno sguardo perennemente affascinato da ciò che lo circonda, nonostante il dolore al quale deve assistere e le difficoltà che deve affrontare.
“…Che felicità viaggiare lentamente in mezzo ai mille frastuoni dell’India…”
Il suo spirito mi conquista ed il suo entusiasmo mi travolge. Guardo le foto di quelle sue imprese.
Sono la parte più bella di questo resoconto, mi permettono di rivivere i momenti da lui descritti, lo vedo sorridente in situazioni da cinema hollywoodiano. Eppure non è passato molto tempo ma, durante questi pochi decenni, l’uomo è diventato più diffidente, il globalismo ha impoverito i poveri e incarognito i ricchi, la fiducia si dà solo a chi è famoso sui social non chi è un bravo cittadino nella società. La differenza tra i due mondi (social e sociale) ad alcuni purtroppo non è più chiara. Il virtuale ha preso il posto del reale e gli incontri che si facevano un tempo, lo scambio di idee, le gentilezze, le confessioni, i rapporti amicali, ahimè, non esistono più. Si fa tutto solo se si ottiene un tornaconto, bello sostanzioso anche. Guardando quelle foto ho desiderato tornare indietro nel tempo, avrei voluto vivere la vita che ha vissuto lui al tempo in cui l’ha vissuta lui. Ero ancora più invidiosa, ma non come prima, adesso molto di più perché vedevo nei suoi occhi la felicità di un uomo libero in un mondo dove tutto era davvero possibile.
Dominique Lapierre quella sua fortuna di scrittore la condividerà con l’India, paese tanto amato grazie al quale è diventato sempre più famoso. Ha aperto ospedali, ambulatori, ha portato energia elettrica e apparecchiature mediche. Ha raccontato gli orrori commessi dalle industrie americane che, come al solito, se ne fregano di uccidere migliaia di abitanti in nome di profitti economici. Ha dato voce a vittime di cui nessuno avrebbe mai parlato, ha fatto studiare migliaia di bambini e dato lavoro ad altrettanti giovani. Le sue opere esistono tuttora e continuano ad aiutare giornalmente la popolazione indigente.
Tutto quello che ha ricevuto dalla vita lui lo ha restituito. C’è modo migliore di viverla questa benedetta vita?
Questo libro insegna a capire non solo l’India, ma l’importanza dei nostri gesti.
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