Autore : Mark Shand

Se questo diario di viaggio fosse stato arricchito da fotografie, sarebbe stato ancora più coinvolgente. Credo che imprese come queste vadano testimoniate nel giusto modo.

“In India ogni viaggio o pellegrinaggio importante inizia o termina in un tempio o in un luogo sacro.”

Shand, con coraggio e incoscienza, decide di fare un tour dell’ India e per spostarsi ha pensato che il mezzo più idoneo potesse essere un elefante. Quando si dice “pensaci prima di fare qualcosa” no ci si riferisce sicuramente a lui.

Vola a New Delhi convinto di poter acquistare un elefante e di cavalcarlo comodamente scorrazzando in giro per il Paese. Ovviamente l’impresa non sarà così semplice da realizzare.

Acquistare un pachiderma non è come comprare una moto, l’animale è sacro e venerato, ci vogliono molti permessi e, sopratutto, dev’essere docile ed ammaestrato. Sin dalle prime pagine sono le difficoltà di questa avventura a rendere incalzante la narrazione. Seppur Mark si concentri più sulla riuscita dell’impresa che sulla descrizione di ciò che lo circonda, ne viene fuori un documento affascinante sulla situazione sociale e naturale delle zone (talvolta remote e poco conosciute) del Nord- Est indiano.

Strade dissestate, serpenti velenosi, truffatori e ladri, mendicanti, mancanza di cibo e bagni in acque torbide. Se non fosse per le numerose bottiglie di rum che permettono ogni sera di dimenticare le fatiche affrontate, probabilmente Mark avrebbe mollato dopo qualche giorno. Ed invece sono ben milleduecento i chilometri percorsi in sessantaquattro giorni con un ritmo di marcia di sei km orari.

Tara, l’elefantina che ruberà il cuore di Mark al primo sguardo, è molto intelligente, una gran mangiona, ghiotta di gur (melassa non raffinata), a volte irruente e testarda e con una fobia per l’acqua alta. Sono ottantaquattro i comandi che Mark dovrà imparare per poter condurre l’animale e ben quattro i metodi che può utilizzare per salirci in groppa.

Oltre ad essere un diario di viaggio, questo libro è anche una storia d’amore, quella tra un padrone e il suo cucciolo. Col tempo la fiducia e l’affiatamento tra i due protagonisti costruirà un legame indissolubile. Immagino, attraverso le sue parole, che meravigliosa sensazione di libertà possa essere attraversare giungle e villaggi in groppa ad un elefante, vedere il mondo sconosciuto dall’alto, lentamente, con le orecchie che sventolano di continuo sulle ginocchia fintanto da procurare lividi e dolori, con la proboscide che dondola ed il passo costante, lento, grave.

Non si pensi che questo viaggio sia stato portato a termine in solitaria. Per muoversi con un elefante serve un’intera squadra di uomini. Un’autista per la jeep che doveva precederli per controllare la fattibilità del percorso, cercare un luogo sicuro per accamparsi la notte, oltre che acquistare e trasportare cibo e attrezzatura. L’addestratore, conduttore esperto, persona in grado di capire il linguaggio dell’elefante, comprenderne i bisogni e curarne le ferite; ed un’interprete di fiducia che potesse intervenire in ogni momento. Insomma, un gruppo di uomini bizzarro che, nonostante le molteplici incomprensioni e difficoltà, riusciranno a trovare sempre un accorso davanti a delle buone bottiglie di rum.

In effetti ha ragione Mark, “L’India è come un elefante…si muove con lentezza”.  Dopo aver letto il suo diario di viaggio potrei anche definirla elegante, fiera e selvaggia…proprio come Tara.

Non c’è cosa più dura del dover dire addio. Dopo un viaggio così incredibile che crea un legame speciale tra uomo ed elefante, dover lasciarsi è qualcosa che fa male al cuore. In questo libro non ci sono solo villaggi, foreste, templi e feste religiose, c’è anche l’affetto per una compagna di viaggio che versa lacrime per il suo amico umano nel momento dell’addio. Commovente.

 

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