Castel Gandolfo è un piccolo borgo alle porte di Roma conosciuto per il lago sul quale predomina, l’aria fresca, il buon cibo e il palazzo pontificio.
Quest’ultima è sicuramente l’attrazione che riscuote maggior successo; è una struttura enorme che, con due ingressi e la maggior parte dell’area verde circostante, si fa spazio nella piazza centrale del piccolo comune. Il museo, antica residenza papale è ovviamente, mastodontico, con decorazioni sfarzose, con lussi di ogni genere, dalle pareti dipinte, ai marmi di pavimenti e arredamento, dell’oggettistica preziosa sparsa qua e là insomma, forse nemmeno il più kitsch dei russi avrebbe osato tanto.
Il parco è incredibilmente vasto, ci si potrebbe correre una maratona, costruire una ventina di piscine olimpioniche o addirittura farci atterrare dei piccoli velivoli. Resto così colpita dalla pomposità degli ambienti che mi viene in mente uno degli spettacoli di Zalone (Resto umile world show) e penso che sarebbe cosa simpatica far stampare sui biglietti d’ingresso al palazzo un bel “Resto Umile Tour”, magari in color oro perché no.
All’ingresso, in esposizione, ci sono le auto blindate dei Papi, le ‘Papamobile’ (ahahah mi fa sempre sorridere) la più carina in assoluto è l’ape con tettuccio pieghevole. Le altre, quelle nere, non so perché ma…, mi fanno venire in mente l’auto da agente segreto del video doppiato dal “Nido del cuculo” e precisamente, lo spezzone del film di 007 in cui viene descritta l’auto da consegnare a Bond “..una vettura con 18 airbag, 4 telecomandi satellitari, navigatore, 18 telefoni, e 4 budelli de to ma…”
Lungo i corridoi in marmo riesco a riflettere la mia immagine su quasi tutte le superfici delle stanze. Se c’è una cosa che detesto nei musei, oltre alle audio guide grandi come telecomandi degli anni ottanta, sono i cordoncini rossi che delimitano il passaggio dei visitatori. Trovo terrificante doversi muovere in uno spazio predefinito solo per paura che uno si possa appoggiare ad una sedia d’epoca o vada a toccare il lenzuolo di un letto a baldacchino. Sono più eleganti delle transenne ma hanno la stessa funzione: ricordare a tutti noi che siamo esseri senza giudizio né rispetto e che, qualora ci dessero la possibilità di tocchicciare tutto, noi appoggeremmo le nostra dita su qualsiasi superficie come se non avessimo mai sentito al tatto un tavolo in legno, la durezza dei tasti di un pianoforte o la ruvidezza di un tappeto persiano. Tanto vale dico io, mettere un tapis roulant che trascini le persone da stanza a stanza fermandosi di tanto in tanto per permettere loro di ammirare un quadro o per concedergli lo scatto di una foto.
Super qualche stanza col mobilio ammassato lungo le pareti e finalmente mi torna il sorriso difronte alla sala dei ritratti dei Papi. Purtroppo i musei con i dipinti mi fanno questo effetto, ricamo subito delle storie o delle battute a seconda delle strane espressioni dei volti che hanno i soggetti delle tele. Mi rendo presto conto di non essere in grado di trattenere le risate così, tra un sussulto e uno sbuffo ilare, invento una storia che parla di: “Papi al bar“.
“Mi scusi cameriere?”
-Mmm arieccoli! Che palle questi, vengono sempre ad orario di chiusura- “Arrivo subito!”
Il garzone sta concludendo le pulizie infondo alla sala, passa un’ultima volta con movimento circolare un sudicio straccio bagnato sulla superficie in vetro dei tavolini. Restano dei piccoli aloni a forma di gocce allungate che vengono coperti da un porta tovaglioli e un un lungo menù in carta plastificata. Il giovane sposta qualche sedia per farsi largo tra i tondi tavoli e raggiunge la comitiva accomodatasi nell’arieggiata veranda.
“Eccomi signori” sorride trascinando dietro la schiena il grosso nodo del grembiule che gli era scivolato su un fianco.
“Anzitutto di Signore ce n’è solo uno giovanotto, e sta in cielo. Chiamaci pure Santità o Eccellenza Santissima, come preferisci comunque… vorremmo ordinare perciò bando alle ciance! Inizio io altrimenti si fa notte, per me il tris Dante.
Fa una piccola pausa per consultare nuovamente lo spiegazzato menù “Leggo qui sopra che sono tre shottini diversi ma…mmmm…il rum non tanto mi piace sa… potrebbe farmi due paradiso e un purgatorio, senza l’inferno?”
Il cameriere prende nota su un piccolo taccuino a quadretti dagli angoli bagnati “Un Dante no inferno” ripete a voce alta mentre scrive a matita. Poi alza lo sguardo verso gli altri.
“Anche per me un tris Dante. Completo. Ma, ehi giovanotto! Fammeli belli forti che oggi c’ho una giornata che nemmeno Giuseppe nella stalla al freddo con i peti delle bestie e la Maria in travaglio guarda!”
“A me porta un paio di panini con la porchetta per favore? E senta!…Se il pane lo scalda un po’ da entrambe le parti sarebbe cosa gradita, grazie.”
“Ma come due panini?! Stiamo prendendo da bere e tu mangi?”
“Ma che sei il mio dietologo per caso? E poi oggi non ho pranzato. Non gli dia retta, scriva pure i due panini. Caldi!”
“Ma fattene portare uno alla volta almeno”
“Ma cosa te ne frega a te se me li faccio portare insieme?”
“Ma si raffreddano no?! Senti fai come ti pare, strozzatici pure va”
“A me invece potrebbe portarmi….” una voce dal lato opposto del tavolo richiama l’attenzione dell’inserviente togliendolo da una situazione imbarazzante e il ragazzo, prima di girarsi, prova ad intromettersi per esser certo dell’ordine.
“Va bene dico al cuoco di far scaldare il pane Signore…eh volevo dire sua Maestà”.
Gira la testa di scatto con aria interrogativa -ma era così che mi avevano detto che dovevo chiamarli? Boh. Vabbè…- Scrolla il capo e ripropone il suo rassicurante sorriso guardando dritto negli occhi il cliente prima di scrivere l’ordine sotto agli altri.
“Mi dica, mi stava chiedendo?”
“Sì ecco…per me quattro sambuchine?”
“Quattro sambuche? Ma non ti sembrano troppe? Poi ti s’allappa la lingua. Hai già le guance rosse, poi te dondolano le ginocchia e non riesci ad infilare la chiave nella toppa. Mah!”
“E la porchetta no… e le sambuche no… suvvia che palle che sei!” Sbuffa senza nemmeno guardarlo. “Ah scusi giovane!” Schiocca le dita per richiamarlo a sé “Con la mosca mi raccomando!”
“Con mosca” Va bene ho segnato Realtà. -no cazzo non era Realtà ma come mi avevano detto? Boh, vabbè…-
“Lei invece che prende?”
“No no a me niente, mi fa acidità tutto in questo periodo. Mi porti un po’ d’acqua.”
“La vuole frizzante, naturale o santa?” -ma che cazzo sto dicendo?-
“Faccia poco lo spiritoso giovanotto…gassata comunque. Grazie.”
“E lei?”
“Io non prendo nulla, non mi sento un granché oggi.”
“Ma che ti sei portato il sacchetto dell’aereo? E ci credo che non ti senti un granchè! Non bevi mai e ieri sei andato appresso a sto rincoglionito e le sue sambuchine con la mosca…t’ho sentito stanotte che rimettevi anche l’anima.”
“Guarda non mi parlare di vomito che mi ritorna l’acquatta in bocca”.
“Che schifo.”
“Vabbè…” interviene il cameriere dalla fronte imperlata di sudore “Ricapitolando vi porto: un tris no inferno, un Dante forte, due porchette pane caldo, quattro sambuche mosca, una mezza frizzante, e manca uno…”
“Uno spritz”
“Benissimo allora torno tra qualche minuto con la comanda.”
Dopo poco….
“Ecco a voi Messeri” il ragazzo appoggia due vassoi sul tavolo e dispone cibo e bevande davanti ad ogni commensale. “Il conto a chi lo lascio?”
“Dia pure a me:”
“A raga’ dobbiamo trovarci un altro locale, non è possibile che spendiamo sempre così tanto?”
“Tanto quanto scusa? Che abbiamo preso in fondo? Du cosette. Fai vedere a me, dai qua!”
Sfila all’amico lo scontrino per guardare la cifra
“E c’hai ragione, so’ tre piotte.”
“Ma li mortè”.
Fine.









































