“Entrate per favore e fermatevi in cima alle scale prima di proseguire. Vi ricordo che non si possono fare foto nelle stanze di questa dimora.”
Una delle case più accoglienti che abbia visitato, ed ho una discreta lista nel mio paniere dopo qualche anno di viaggi. Il suo fascino non è determinato dall’eleganza o dalla particolarità della struttura architettonica bensì, dal caos che la governa. Un appartamento pieno zeppo di ammennicoli, strumenti musicali, opere d’arte, mobilio, libri, soprammobili, sculture, dipinti e oggetti sacri. Nonostante la moltitudine di oggetti che riempie ogni anfratto di ciascuna stanza, il confusione pare ‘organizzata’, fruibile, quasi raffinata se vogliamo. Ogni ambiente si presenta diverso ed affascinante e la visita diviene un susseguirsi di “wow” “ohh” “accipicchia!” e di braccia che si protendono in avanti ad indicare qualcosa di buffo, di strano o di particolarmente antico e bello.
Provo a ripercorrere le sale mentalmente, nell’atrio ci sono due ingressi distinti, uno per gli ospiti graditi e uno per le visite ufficiali che nulla hanno a che vedere con la confidenza che si riserva ad un amico.
‘aggiusta le tue maschere al tuo visto ma pensa che sei vetro contro acciaio’ recita la scritta sopra il camino della sala del mascheraio, che altro non era che il luogo in cui attendevano gli ospiti in visita. Pare che proprio qui, nel 1925, Mussolini sia rimasto a sedere un paio d’ore prima di essere ricevuto dal padrone di casa.
L’illuminazione è la prima cosa che colpisce, ce n’è poca, è quasi di un giallo paglierino e, nonostante le decine di lampadari, abat-jour e lampade varie, gli ambienti sono sempre quasi in penombra, con pesanti drappi davanti alle grandi finestre che impediscono al sole di entrare. Questa scelta è presto spiegata dalla guida: la poca luce favoriva la concentrazione e la contemplazione finanche l’estro di D’annunzio, permetteva di avere un luogo più intimo per gli incontri occasionali con il gentil sesso, era d’aiuto ad una vista ormai non buonissima considerando anche che, dopo l’incidente aereo, l’occhio destro non funzionava più e, aiutava anche a celare (o quanto meno rendere meno visibile) la mancanza dei denti, difetto dovuto all’età (e forse anche all’assidua assunzione di droghe) che tanto creava disagio all’uomo ormai attempato.
La stanza adiacente alla sala d’attesa è un tripudio di luci gialle e drappi neri. Strumenti musicali, statue di Budda, violini, tende di seta, draghi cinesi e oggettistica proveniente da tutto il mondo. Inizio a pensare che pulire questa casa doveva essere un lavoro a tempo pieno e che la penombra poteva aiutare anche a nascondere qualche strato di polvere nascosto tra le pieghe di così tanti aggeggi. Il piccolo studiolo è occupato quasi interamente da una scrivania utilizzata come scrittorio e come tavolo per mangiare in solitudine lontano da occhi indiscreti. La osserviamo con un po’ più di attenzione perché è qui che il 1 marzo del 1938, all’età di 74 anni, Gabriele morì.
Continuiamo il giro dell’abitazione soffermandoci nei vari ambienti quanto basta per poter poggiare lo sguardo soltanto su una minima parte del contenuto di essi; tocca riconoscere al volo le cose più particolari e assurde, come ad esempio il ripostiglio dei medicinali posto dietro la scrivania (D’annunzio era ipocondriaco), il piccolo organo, le maschere inquietanti appese ad una parete, gli elefanti blu cobalto ed i calchi in gesso bianco macchiati di caffè per anticarli.
Nella libreria, che ospita più di 33 mila volumi originali, c’è un enorme mappamondo che vorrei far roteare. I libri sono consultabili, non qui, non ora, ma fanno parte del circuito bibliotecario e per motivi di studio possono essere presi in prestito. La libreria e le pareti in legno donano alla stanza un’atmosfera intellettualmente romantica.
Scritte sui muri, arredamento a strisce, 180 tappeti in un ambiente dalle modeste dimensioni, divani e letti pieni di tessuti e colori, oro, simboli e metafore ovunque, Dante, la Medusa, scritte in arabo, carte da parati barocche, amuleti cinesi, melograni e corridoi con pareti tutte in vetri. Il suo essere superstizioso e l’amore per le diverse culture traspare ad ogni angolo.
Non solo ricchezza materiale ed intellettuale, questa casa aveva anche tutti i confort, ad esempio: luce e telefono, rarità per l’epoca. La sala da bagno privata, di un verde bellissimo, è qualcosa di assolutamente fantasioso e delizioso, ma anche il bagno degli ospiti, seppur privo di vasca (perché il padrone di casa non voleva nessuno a dormire per la notte) è davvero elegante.
Nella stanza chiamata ‘del lebbroso’ D’annunzio si rifugiava nei momenti di tristezza per meditare e riflettere; ogni luogo qui sembra avere la propria funzione, persino la stanza della madre che pare una camera funeraria, e la sua camera che, in effetti lo è davvero.
La vita intera, le passioni, le conquiste ed i lavori sono tra queste mura. Pale di aerei attaccate al soffitto, talismani, dipinti, abiti e lettere, prodotti da lui pubblicizzati e libri. Servirebbero mesi per analizzare ogni singolo oggetto racchiuso in questa casa. Il fatto che lui agognasse all’immortalità traspare dal modo in cui ogni cosa è in bella mostra per essere ricordata in eterno. Religioso e profano, il suo credo era il rischio, chiunque cercasse di superare se stesso era un eroe, i propri limiti erano solo sfide e non ostacoli, osare osare e ancora osare. Considerando che si arruolò volontario all’età di 52 anni, potrei affermare che la sua vita fu piuttosto coerente con il suo pensiero.
Su un soffitto campeggia la grande bandiera di fiume con il serpente che si morde la coda e 7 stelle dell’Orsa Maggiore. Una moltitudine di statue di santi, i volantini lanciati su Vienna nella prima guerra mondiale, un’enorme cucina munita di frigorifero e ghiacciaia, le stanze della servitù ed il calco del volto di Michelangelo (di cui lui si riteneva parente).
“Io ho quel che ho donato”
Un discreto affarista, per non dire furbacchione, pare che si sia indebitato non poco, e che abbia chiesto parecchi soldi in giro per costruire la sua casa e l’enorme parco del Vittoriale. Con la scusa che tanto, quello che sarebbe stato suo era e sarebbe finito agli italiani, riuscì a mantenere un ottimo tenore di vita e a costruire un parco che, per dimensioni e contenuto, ha dell’incredibile.
La visita continua senza sosta tra sentore di incensi, odore di legno e, il mio preferito, profumo di libri e carta stampata. Esaurita la parte privata si giunge in una stanza di grandi dimensioni che appare come il set di un film hollywoodiano, con colori accesi e colonne enormi. Da qui inizia la parte nuova della dimora, quella che si può fotografare, quella adibita a museo.
Follia e genialità, lasciano spazio a qualcosa di più ‘costruito’. All’interno di Schifamondo, la nuova area progettata dal poeta, l’atmosfera è quasi impersonale, imponente, anonima. Dalle finestre del piano superiore si gode della vista sul lago e dal soffitto del teatro pende lo SVA 1o che sorvolò Vienna.
Venire al Vittoriale e non visitare la casa di Gabriele d’Annunzio non ha alcun senso. Questo appartamento è senza alcun dubbio la cosa più affascinante da vedere qui.