Vi siete mai messi nei panni di un ipocondriaco dall’animo gentile?

É una vita difficile, passi il tempo ad accettare cibo che non toccheresti nemmeno, solo per non essere maleducata. Ed eccomi qua, seduta in bilico sul bordo laterale di un’imbarcazione fatta di intrecci di totora essiccato. Altro non è che una lunga zattera morbida con la testa di gatto incazzato, ed io me ne sto immobile, appiccicata ad altre persone che non conosco, con un bambino di tre anni sdraiato in fianco, che continua a scaccolarsi e ad attaccare il ritrovato sulla gamba dei miei pantaloni sorridendo come se mi stesse facendo un bel regalo. D’improvviso, mentre la balsa scivola sul lago, il ragazzo più grande che la manovra ne arresta la corsa in un punto del lago ricco di vegetazione. Egli, sudato come cinquantenne alla prima partita di tennis il 10 d’agosto, taglia con della ruggine a forma di coltello, un pezzo di canna verde che spunta dal lago. La sfoglia dello strato superiore, la fa a piccoli pezzetti e la porge a chi gli sta accanto. Di mano in mano (compresa quella piccola e paffuta dello scaccolatore seriale) uno di questi pezzetti biancastri finisce tra le mie dita. Come fai a rifiutare? Lo devi assaggiare per forza. E allora chiudi gli occhi e gli dai un morso con gli incisivi, come fa il mio cane quanto afferra con delicatezza il biscotto. Lo ammetto, non era affatto male, la canna della totora al suo interno nasconde un cuore croccante e dal gusto fresco, molto acquoso e delicato.

Insomma, elenco di possibili germi e batteri a parte, di questa pianta acquatica se ne fa un largo uso, non solo alimentare.  É infatti il materiale più importante per le comunità Uros che lo utilizza per costruire imbarcazioni, isole che galleggiano e capanne.

Scendo dalla barca con un saltello in stile olio Cuore ed atterro con l’ansia di affondare. Ma no, nulla si è mosso. Queste piccole isole fluttuano al centro del lago Tititcaca come sugheri in mare. La manutenzione è costante, ogni due mesi gli abitanti devono sostituire, con della nuova paglia, le canne marcite per il lungo ammollo, in modo da mantenere a galla tutte le strutture.

Diverse famiglie vivono qui, lontano dalla terraferma, senza alcun confort se non dei piccoli pannelli solari utilizzati per alimentare delle luci. Le donne Uros ricamano ampi tessuti colorati con disegni di divinità inca e figure geometriche, gli uomini si occupano della pesca e della manutenzione dell’isola.

“Uuuhh guarda! Ci sono dei gatti?!”

“Sì Daniè, ho visto pure un cane.”

“Ma non ci credo, guarda quel bimbo come gioca coi gatti, che tenerezza, sono proprio dolci, Oddio…”

“Che c’è?”

“Il bimbo ha appena fiondato il gatto a quattro metri di distanza.”

“Ma sì tranquilla, tanto i gatti non si fanno nulla e poi atterrano sulla paglia, vieni Daniè andiamo a vedere l’interno di una capanna.”

 

Dall’espressioni di coloro che erano già all’interno avrei dovuto capire a cosa stavo andando incontro.

Uno dei luoghi meno ospitali che esistano sulla faccia della Terra. Il puzzo era così pungente che iniziarono a lacrimarmi gli occhi. Mi era quasi impossibile respirare, l’odore acre mi solcava le narici. Aprire la bocca per respirare era fuori questione, avrei ingurgitato quel tanfo e si sarebbe incollato alle pareti della gola. Per giorni probabilmente. Non riuscivo a trattenere il pianto. In silenzio, per non far sentire in imbarazzo il proprietario di casa che ci illustrava l’unica stanza dell’abitazione, mi asciugavo le lacrime e sorridevo fingendo interesse. Nel frattempo anche il naso aveva iniziato a colare.

Quella stanza fatta di paglia, che da fuori ha il fascino romantico di casetta delle favole, ospita in realtà una pavimento di materassi di varia misura e decine di coperte e tessuti. Addossate alle pareti ci sono dei piccoli mobiletti con scatole di cibo, piccoli giocattoli e attrezzi da lavoro; vicino all’ingresso c’è una pila di tessuti ricamati e una di vestiti. Ogni casetta ospita un intero nucleo familiare e, nello specifico, in questa stanza che non sarà più grande di quattro metri quadri, ci dormono in 6.

Torniamo all’ aperto dopo un tempo indefinito. L’aria non ha mai avuto un sapore così buono. Camminiamo un altro po’ su queste piattaforme ancorate al fondale tramite spesse corde. Ogni passo è molleggiato. Sembra di stare su uno di quei pavimenti di gomma anti-trauma dei parchi giochi dei bambini nei giardini comunali. Ci vuole dell’ingegno per progettare e realizzare delle abitazioni con un solo materiale che riescano a resistere tutto l’anno in mezzo all’acqua. Probabilmente, miasma a parte, le isole Uros sono uno dei luoghi più affascianti che esistano al mondo, proprio per la loro assurda unicità. Furono create per sfuggire all’invasione Inca e col tempo si trasformano in veri e propri villaggi indipendenti.

Questa comunità, che fino agli anni Sessanta era totalmente analfabeta, abita questa porzione di lago da più di quattrocento anni e continua a portar avanti di generazione in generazione la saggezza dei costruttori e dei pescatori che hanno permesso ai loro avi di sopravvivere nonostante il completo isolamento sociale.

Pazzesco.

 

 

 

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