Non devi arrivare presto, devi arrivare prima.
Questo non è un museo, è una sfida.
Solo i più veloci potranno stare al cospetto dell’immobile armata, gli altri, i più lenti, si limiteranno ad immaginare la bellezza delle loro uniformi, intravedendone qualche frammento qua e là, dietro tutta la folla agitata.
Un quarto d’ora all’apertura e sono già tutti accalcati davanti al cancello. I più agguerriti sono i cinesi. Viaggiano in gruppo e sono tutti muniti di ombrello. Ad ogni movimento rischiano di fare più danni di un politico in parlamento.
Spunta dal nulla un signore con abito nero e bottoni dorati, si avvicina all’inferriata con passo lento e calmo. Un brusio di fondo si propaga come un’onda. Il gruppo di fianco a me, che è scortato da una guida minuta la cui voce stridula è di tre ottave più alta dell’umanamente consentito, inizia ad agitarsi come pop corn in una padella calda.
Sono incastrata tra un signore che si sventola con agitazione e due gomiti. Sono di un uomo? Sono di una donna? Sono di due persone diverse? Chi può dirlo! Sono in mezzo ad un tripudio di arti, ventagli ed ombrelli.
Il cancello si apre e la gente si lancia in una corsa inaspettata e disperata.
“Non correre Daniè!”
“Ma corrono tutti!”
“Ma tu non correre!”
Mi fermo dopo nemmeno cinquanta metri, dietro ad una fila di persone col fiatone ed il mio respiro pesante di confonde con il loro.
A quanto pare l’ingresso a questo museo si guadagna a tappe.
Aprono i tornelli e corriamo nuovamente, stavolta verso il padiglione più grande. Impensabile ma vero, nonostante la mia proverbiale lentezza, ho le gambe più lunghe dei cinesi e riesco a fargli mangiare la polvere. Entriamo quasi per primi.
L’esercito è lì davanti a noi, infossato in una specie di enorme vasca di pietra.
Dopo dieci minuti passati a fissare le statue della prima fila, non so ancora se mi piacciono moltissimo o mi sono totalmente indifferenti. Mi muovo di lato, la gente si accalca con una foga incomprensibile.
“Smettila di spingere Daniè!”
“Ma mi spingono loro!”
“Ma tu dagli due gomitate nello sterno.”
“Ma sono veloci e agguerriti cazzo! Avranno fatto scuola davanti alle transenne dei concerti metal! E poi son piccini dannazione, riescono ad intrufolarsi tra un corpo e l’altro come serpenti in una tana!”
Mi sposto in una zona che mi consente di ammirare le statue senza avere lividi nel costato. I volti, le mani, le calzature, la lunghezza dei nasi, la trama dell’uniforme, le orecchie e le altezze, sono tutte diverse tra loro. I particolari sono così definiti e puliti, che faccio fatica a pensare che siano stati opera di artigiani.
L’imperatore Qin Chi Huang, che aveva più paura della morte di un moscerino appiccicato sulle foglie di una pinguicola, voleva essere eterno e così, ebbe la straordinaria idea di farsi costruire un esercito imponente che potesse difenderlo nell’aldilà. Ora, se tanto mi da tanto, capisco che l’idea dell’essere eterni non è proprio da persone equilibrate, ma non possiamo nemmeno affermare che Re Huang fosse proprio il primo degli sprovveduti, perciò mi domando, come può un imperatore pensare che in un mondo parallelo dei cocci a forma di persone avrebbero potuto essergli di ben che minimo aiuto? Gli egizi, quelli sì che si preparavano alla morte con criterio, facevano uccidere e seppellire insieme a loro i servi, le concubine, i medici, perché no anche l’architetto il designer e il gatto. E Huang che fa? Un esercito di terracotta. La storia non quadra.
Continuo a guardarli come ipnotizzata, come in attesa di un piccolo, minuscolo, impercettibile movimento da parte loro. Mi sento Larry Daley davanti a Ottavio (nel film una ‘notte al museo’), so che è una statua, ma so anche che potrebbe girarsi e lanciarmi un’occhiataccia.
Son una fan delle teorie strampalate, per me nulla è reale, non nell’accezione che gli concediamo noi. Perciò mi invento una teoria seduta stante.
“Secondo me sono uomini veri, sono troppo precisi e hanno anche il numero di piede diverso l’uno dall’altro”
“Ma lo sai che ci pensavo anche io?!”
“Mi prendi in giro?”
“No Daniè guarda i volti, persino gli occhi hanno angolazioni e grandezze diverse, e le espressioni della bocca, le spalle, sono tutte diverse, e guarda…ci sono delle statue magre ed alcune molto più robuste.”
“Infatti!” Esclamo euforica. “Pure secondo me c’è stata una qualche magia che li ha trasformati in ceramica!”
“Oddio, proprio magia ecco, secondo me è più facile che abbiano colato l’argilla e li abbiano uccisi facendone il calco.”
“Madonna che macabro!”
“Perché puntargli contro una bacchetta magica e trasformarli in terra come dici tu non è macabro no?!”
Riprendiamo il giro. I cartelli ci informano che hanno lavorato alla realizzazione di questo imponente mausoleo, oltre settecentomila persone. Per oltre quarant’anni hanno costruito soldati e cavalli, stanze e corridoi.
Oltre a questo enorme capannone, ci sono altri scavi visitabili, più piccoli e con ricostruzioni che, seppur fedeli all’originale, sono pur sempre ricostruzioni. Immaginate cosa avrà provato il Sig. Yang Zhifa quel giorno in cui, mentre cercava l’acqua, si è imbattuto in una testa in terracotta. Voleva scavare un posso e invece (poverino) si è ritrovato con il campo pieno di ‘esperti’ ed archeologi che hanno dissotterrato tutto sto ben di dio.