Il deserto, mai avrei pensato di trovarlo in Nuova Zelanda. Eppure questo incredibile paese, del quale mi sono innamorata profondamente, ha anche il deserto!

Ci si arriva facilmente…ad un certo punto, mentre percorri una strada immersa in una rigogliosa vegetazione, con grandi alberi a forma di broccoli giganti, trovi un cartello per svoltare e tu pensi “ma andiamo! non potrà mai esserci un deserto qui”. Macini un altro po’ di strada fino a ritrovarti in un parcheggio circondato da arbusti medio alti.

Facciamo qualche passo al di là delle piante che delimitano il Te Paki dove c’è una roulotte che espone tavole colorate per il sandboarding.

Ed ecco uno spettacolo che mi mozza il fiato, letteralmente. I battiti del cuore sono accelerati. Non ero mai stata al cospetto di un deserto prima d’ora ed è qualcosa di romantico. Pare che l’azzurro del cielo si mischi al bianco delle nuvole amalgamandosi bene per poi tuffarsi nella sabbia ondulata che si muove al vento producendo una musica del tutto nuova alle mie orecchie. Come un fruscio, un sibilo strozzato, morbido e ruvido nel contempo. Corro incontro a tutta quella sabbia ma l’entusiasmo si indebolisce e la corsa rallenta. Ho le scarpe piene di sabbia. Fare i primi dieci passi zampettando come una capretta su un prato verde non è stata una buona idea.

Continuo fregandomene della polvere e del mezzo etto di granelli di sabbia che ho tra i denti a causa del vento. Con uno sputo potrei tirar su un muretto di mattoni. Quanto è bello il deserto, faticoso, caldo ma di un’eleganza sublime. Sembra che tutto intorno a me si muova come in una danza. Pare ci sia un tessuto invisibile adagiato su quelle piccole onde di sabbia che si spostano in continuazione cambiando il loro colore dal chiaro allo scuro.

Qualcuno, già in cima alla duna più alta, scende su una tavola cercando di surfare. Li guardo correr giù come saette e poi capitombolare sorridendo. Io nel frattempo arranco, ad ogni passo sprofondo e torno indietro di due. Faccio una fatica tremenda, rallento e cerco di fare passi più lunghi ma sento le ginocchia mandarmi a fanculo. Decido di provare a salire usando la tecnica del salmone cercando di andar su con colpi di reni. Estraggo le caviglie dalla sabbia e continuo a risalire la duna. Potessi girarmi a testa in giù potrei far concorrenza alla clessidra nel gioco del monopoli.

Sono in cima. Quello che vedo mi fa commuovere.

 

Il vento disturba un po’ ma mi distendo a terra e faccio l’angelo strusciando gambe e braccia. Mi sto divertendo tantissimo, guardarmi intorno è fantastico, il deserto confina con la foresta. Già pare strano anche a me ma così è.

I surfisti continuano a fare su e giù canticchiando e correndo, beata gioventù. Io penso a come affrontare la discesa e opto per la scivolata di sedere. Assolutamente un’idea del cazzo!

Scendo giù dalla duna come un sofficino findus con una sola differenza, a me il sorriso viene fuori sul serio.

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