Sarà che ho parcheggiato a circa due chilometri di distanza, sarà che mi perdo anche nel parcheggio dell’Esselunga nonostante abbia lettere numeri e colori, sarà che dove ho lasciato l’auto non c’era nessun punto di riferimento da tenere a mente se non un cavallo marrone che mi guardava al di là di una staccionata (ma conta poco perché potrebbe muoversi in mia assenza) o, sarà colpa di questo fottuto caldo infernale, ma… ecco…sono fottutamente sudata.

Sembra di stare nella cucina di un ristorante alle nove di sera, con tutti i fuochi accesi e i forni in funzione; la cascata che leviga il calcare, sprigiona una nuvola di vapore che si perde tra le foglie degli alberi vicini; non oso nemmeno avvicinarmi con un piede all’acqua delle prime pozze che fumano come ragazzini alla prima serata in uno shisha bar.

Cerco un posto dove appoggiare le mie cose e non è affatto facile data l’enorme affluenza, eppure pensavo lo conoscessero in pochi questo angolo termale naturale ed invece c’è così tanta gente che sembra di stare in centro alla vigilia di natale.

“Quando ci venivo da bambino non c’era nessuno!”

“La c’ha ragione lei! Io ci venivo anche dopo la scuola alle superiori e ci si faceva il bagno nudi!”

“Noi invece si veniva in vacanza coi nonni, mi ricordo che stavano ammollo tutta la mattina dalle otto fino a che non li raggiungevamo io e i miei genitori al pomeriggio.”

“Anche noi ci si veniva a stare tutto il giorno, ma ora come tu fai? C’è sempre gente!”

“T’hai ragione, un ci si pole nemmeno rilassare a dovere!”

“Bravi v’avete ragione, ora l’è una bolgia infernale, per me gl’avrebbero a mettere i numerini!”

Mi spoglio tra le polemiche dei vicini con la disinvoltura di una che fa finta di essere del posto (ogni tanto annuisco per dare ragione a quello che grida di più) e poi, senza nemmeno congedarmi, mi avvicino alla pozza più grande.                                Mannaggia la miseria rischio di scivolare una decina di volte prima di riuscire ad immergere le caviglie.

L’acqua nel punto strategicamente scelto è dannatamente bollente. Guardo in basso e vedo i piedi rosso chianti dell’89 attaccati a delle gambe pallide come la bandiera della resa.                                                                                                                                                  Mi faccio coraggio e provo a mettermi a sedere ma in un nano secondo scivolo con la chiappa sinistra su un pezzo di calcare liscio che mi fa slittare giù distesa e manca poco affogo in 5 cm di acqua.

Impossibile non essere vista eppure nessuno da peso alla mia goffaggine, tranquillizzata da quella clemente platea provo a concentrarmi sull’ambiente che mi circonda per rilassarmi un po’: seguo quel rigolo d’acqua che sgorga dalla cima della montagna di calcare, poi osservo il viso disteso dell’anziano che si lascia cullare dallo sciabordio dell’acqua calda, annuso l’aria che sa un po’ di zolfo e un po’ di terra bagnata, conto tutte le sfumature di bianco e grigio della parete della balena ma…niente…non riesco a rilassarmi. Non faccio altro che pensare a quando mi dovrò rialzare, sotto di me la roccia è così liscia che nemmeno con dei ramponi sarei in grado di stare ritta in piedi. So già che dovrò strisciare fino alla parte più bassa della vasca come un tritone di montagna che conquista la terra ferma su quattro zampe.

Adesso tutto mi è chiaro! Ecco perché i nonni di quel ragazzo stavano ammollo tutta la mattina, mica per far le cure termali… perché aspettavano che qualche anima pia li venisse a tirar su!

 

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