FILOSOFIA DEL VIAGGIO

Questo è il libro che ogni appassionato di letteratura di viaggio avrebbe voluto scrivere. Denso come un testo di filosofia e accattivante come un diario di viaggio.

Rudi Capra, Professore universitario di filosofia, gira il mondo grazie anche alla sua professione che lo conduce dietro le cattedre dei più prestigiosi Atenei universitari del mondo. Da Cork a Macao, da Parigi a Wuhan, dove tutt’ora risiede e lavora. In questo volume egli si racconta e, attraverso le sue esperienze di studioso e viaggiatore, ci illustra i diversi modi con il quale un viaggio può essere interpretato. Sono molte le sue citazioni, pensatori che prima di lui hanno cercato di rispondere alla domanda: che impulso ci spinge a lasciar tutto per l’ignoto? Capra incuriosisce e risolve questioni sul tema, e in questo libro ci mostra (come suggerisce il sottotitolo) i modi, i tempi, gli spazi e i sensi del viaggiare.

“Rudi, di pubblicazioni di letteratura odeporica ce ne sono davvero parecchie in commercio ma, l’idea di unire filosofia e viaggio in un unico testo è, a mio avviso, davvero interessante. Com’è nato questo progetto?”

“Diciamo che è stato un processo abbastanza spontaneo di collegamento, fusione tra orizzonti che mi appassionano, la filosofia, la letteratura, il viaggio. Come diceva Colli, la filosofia è un lavoro da ragni, si cerca di tessere trame e itinerari laddove prima c’era il nulla. Sicuramente questa disciplina ha indagato poco il viaggio rispetto ad altri argomenti, eppure è un impulso fondamentale dell’esistenza umana.”

“Hai ragione, abbiamo a disposizione molti testi di filosofia che ci spiegano l’amore, il senso dell’esistenza e la natura umana ma, sul tema della peregrinazione, in chiave filosofica, c’è ben poco. Adesso mi domando: ma la filosofia può quindi spiegare qualsiasi argomento? O è solo una chiave di lettura, un approccio mentale o addirittura un codice per poter accedere alle risposte delle nostre infinite domande esistenziali?”

“Vedi Daniela, credo in realtà che non ne possa spiegare nessuno. Per restare in tema di metafore di viaggio, i filosofi disegnano mappe. Alcune aiutano a orientarsi, altre riescono solo a farti perdere. Se chiedi a me ti rispondo che la filosofia è un approccio che aiuta a vivere meglio, una prassi terapeutica che consiste nell’imparare a interrogarsi, prima ancora che a rispondere. Ma tanti filosofi sarebbero completamente in disaccordo con questa visione, com’è giusto che sia, ci sono tante risposte possibili a questa domanda.”

“Praticamente il filosofo si interroga più approfonditamente rispetto a tutti noi, cercando di sbrogliare matasse e creare teorie. E questo loro ‘pensare’ è un vero e proprio mestiere?”

“Diciamo che i filosofi ragionano. A volte ci prendono. Più in là di questa definizione non mi spingo. È mai stato un mestiere? Non saprei. Tanti che non sono stipendiati come filosofi hanno tutto il diritto di considerarsi tali, e all’inverso, molti che insegnano filosofia non amano definirsi filosofi, anzi provano un certo imbarazzo quando li chiamano così. A me non crea nessun disagio, non è una parolaccia, dopotutto studio filosofia da vent’anni, lavoro in quest’ambito, pubblico lavori filosofici, quindi se mi chiamano filosofo ci può stare. L’importante per non coprirsi di ridicolo credo sia evitare quell’aura da santoni, da guru del marketing o da guru in generale. Sono convinto che la buona filosofia sia sempre molto semplice – che non è la stessa cosa di facile.”

“Rudi tu hai viaggiato parecchio sia per diletto che per lavoro, mi racconteresti il luogo più affascinante nel quale sei stato e l’esperienza più assurda che hai vissuto.”

“La prima domanda è una di quelle domande per cui il lunedì mattina ti rispondo diverso dal lunedì pomeriggio, ma nel momento in cui rispondo – venerdì sera, per inciso – , ti dico che Roma è la città più affascinante del mondo. Parlando di esperienze avvincenti, corrompere il guardiano per farci entrare a notte fonda nel mausoleo di Tamerlano a Samarcanda è stato indimenticabile. Ciò che mi è accaduto invece poco tempo fa ha dell’assurdo: ho percorso un trekking in Cina con mia sorella, tre ore di fila per accedere al sentiero, 40 minuti di fila indiana con venditori di souvenir che urlavano ovunque e altre tre ore di fila per uscire dalla disperazione.”

“Nel tuo libro leggo: – L’opinione di …Albert Camus, è che ‘si viaggia per avere paura’…’non c’è nulla di piacevole nel viaggio’, e lo considera piuttosto un ‘test spirituale’…-. Seneca invece suggerisce l’idea che lo si faccia per noia, per insoddisfazione. Senza entrare in merito alla questione, visto che esponi in maniera molto interessante questo argomento nel tuo primo capitolo, volevo domandarti piuttosto: cosa spinge te a viaggiare?”

“Sono più in linea con il pensiero di Seneca, noia ed insoddisfazione, per uno stato di cose sopravvenuto, in cui ci siamo impantanati, cristallizzati, unite a una curiosità, un desiderio di andare incontro a un altrove, che può essere un luogo o un’altra versione di noi stessi.”

“Hai fatto un paragone tra vita e viaggio, sottolineando quanto lo spostamento e l’esperienza del ‘nuovo’ riesca a trasformarci,  e hai scritto una frase che mi ha colpito parecchio: -viaggiando ci si allena a morire-. Quali sono i momenti del viaggio più significativi in chiave filosofica e cosa intendi per ‘ormalgia’, un termine che, a dire il vero, non avevo mai incontrato.”

“Ormalgia non potevi conoscerlo, l’ho inventato io. È appunto questo abbrivio che ci spinge a partire, esattamente come la nostalgia ci spinge a tornare. Un invito all’avventura, a indagare l’ignoto, alla dissoluzione. Qualsiasi momento in viaggio può essere significativo, dipende dalla sensibilità di ciascuno. Una pioggia leggera che comincia a cadere nel giardino di un tempio, il traffico notturno che scorre senza sosta sul raccordo della tangenziale di Bangkok visto dall’ultimo piano del Bayoke Sky Hotel. Momenti di Augenblick, che sbloccano qualcosa.”

“Analizzare il tema del viaggio a trecentosessanta gradi presuppone anche includerlo come tema principale in diversi contesti sociali, dal turismo all’economia sino alla politica. Potresti spiegarmi cosa intendi per: -Il potere del viaggio di operare come strumento politico-?”

“Due grandi forze economiche dall’alba dei tempi sono la migrazione e il turismo. Il migrante è l’inverso del turista: se il turista in viaggio si fa servire dall’indigeno, il migrante viaggia spesso per mettersi al servizio dell’indigeno. È un discorso lungo e complesso, ma intorno ai movimenti degli esseri umani si condensano enormi flussi di capitale, ed esistono organismi e istituzioni molto abili a manipolare tali flussi con scopi non sempre nobili. Credo che sia una responsabilità del turista cercare di limitare il proprio impatto e di resistere a determinate manipolazioni. Una misura recente che mi ha disgustato è il ticket d’ingresso per Venezia, tanto più ipocrita, dato che in laguna passano tuttora enormi navi da crociera che distruggono l’ecosistema.”

“Il modo in cui si viaggia cambia nei secoli, prima lo si faceva per esplorare, per conquistare, per scappare, per combattere, poi per studio, per svago, per riposarsi, e ora, nonostante le esigenze umane siano rimaste le stesse, sembra lo si faccia solo per far vedere agli altri che lo si fa. Secondo te avverrà un altro cambiamento? Come viaggeremo in futuro?”

“Si cambia sempre, ma certe cose non cambiano mai. Ancora adesso viaggiamo per conquistare, scappare, combattere, forse un po’ meno per esplorare. Il cambiamento epocale, come giustamente suggerisci, è quello che arriva con la rivoluzione digitale e con i social media. Sono un po’ la prosecuzione e il potenziamento di quelle serate tremende che si facevano prima che io nascessi, quando una coppia invitava a casa alcuni amici per proiettare le diapositive. Proiettiamo continuamente le nostre esperienze all’esterno, ci moltiplichiamo in superficie. Non è un male di per sé, ma spesso questo ossessivo fotografare, come diceva Susan Sontag, diventa un modo di rifiutare un’esperienza piuttosto che di raccontarla.”

“Viaggiando in tutti questi anni Rudi, hai scoperto qualcosa di davvero interessante sull’uomo o sulla vita, che stando fermo non avresti potuto intuire o capire?”

“Qualcosina sì, dai. È tutto nel libro o quasi… come dice un caro amico che incontro sempre in spiaggia, ‘dopo morto sai quanto tempo avrò per stare fermo?’ ”

“Se dovessi consigliare un libro di viaggio (oltre al tuo naturalmente) quale sarebbe?”

“Le città invisibili di Italo Calvino.”

“Rudi non ti rubo altro tempo, ho amato il tuo libro e ti ringrazio per il tempo che mi hai dedicato, ti faccio un’ultima domanda con la quale è mia consuetudine concludere ogni intervista: che cos’è il viaggio per te?”

“É giocare con il mondo.”

 

Il blog di Rudi Capra: https://lamalaparte.com/about/

E… se il libro ti ha incuriosito, puoi acquistarlo qui: https://amzn.to/43HJSKw

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