“Me lo fai vedere?”
“Che cosa?”
“Il tuo bastone?”
“Daniè!”
In quattro si girano a guardarmi.
“Ooohhh ma sei scemo?! Il bastone che ti hanno dato!”
“Ah! questo!”
Lo mostra con fierezza come lo scettro di un Re.
“Ma è uguale al mio.”
“Per forza Daniè siamo nello stesso gruppo, ce li danno tutti uguali.”
“Ah.”
Dovete sapere che, una volta scesi dai pullman, ai vari gruppi di turisti viene assegnato un bastone per camminare. Questo ha varie righe dipinte sopra. Secondo i ‘distributori di bastoni’, questa grande trovata dovrebbe permettere a qualsiasi componente di ciascuna comitiva, di ritrovarsi sempre e dovunque e non perdersi mai lungo il percorso. Considerando che le righe sono sottili e tutte dei medesimi colori, siamo ancora davanti al pullman e faccio già fatica a capire di che squadra sono!
…vediamo un po’…c’è una striscia bianca e una rossa, gli altri sono una rossa e due bianche, laggiù ci sono una rossa una bianca una rossa e due bianche. Quello che compra l’acqua dall’anziana sdentata ha il bastone con tre strisce rosse e una bianca, e quello che si allaccia la scarpa all’inizio del sentiero ha una striscia bianca tre rosse e due bianche.
Il metodo dei bastoni mi appare subito una gran cagata. Tringo la corda già usurata al polso e lo impugno con decisione.
“Estan ahí? Todos a mi alrededor. Ahora subiremos todo juntos despacio. Yo iré atrás para no perder a nadie del grupo.” grida la nostra guida peruviana che, a guardarla con attenzione, asosmiglia a Bobby Solo sulla copertina dell’album ‘se piangi se ridi’.
-Se ridi, amore, io rido con te…- cantava, ma qui non c’è un cazzo da ridere, gli altri sono già partiti e io sono in coda col mio bastone dalle righe sbiadite e l’ansia da prestazione che mi sta montando in petto.
“Entonces chicos, quien es el mas lento?”
Non capisco un cazzo ma ‘lento’ immagino significhi ‘lento’ perciò alzo di scatto la mano al cielo senza alcuna vergogna.
“Io!”
Fiera della mia andatura flemmatica, mi ritrovo fianco a fianco con questo piccolo uomo dal ciuffo sbarazzino.
Il paesaggio è davvero incredibile sin da subito. Un ampio sentiero ci permettere di scivolare in mezzo a delle alture color muschio e sabbia. Cavalli portati al trotto da velocissimi uomini e agilissime donne che si alternano in sali e scendi lungo tutto il percorso. Alpaca al pascolo, un ghiacciaio incastonato tra le crepe di una vetta e un cielo azzurro che sembra di stare in paradiso.
“Por que no consigues un caballo?” (alcuni turisti fanno metà percorso in sella al cavallo per risparmiare fatica e tempo)
“No figurates, jo soy pesante, er cabaglio more se ce salgo asopra en salida.” Rispondo con la faccia di una che ha a cuore la vita dell’animale.
Lui sorride e penso che, in fondo, il mio spagnolo non sia poi così male.
La prima goccia di sudore, dopo aver attraversato tutta la schiena percorrendo l’intera colonna vertebrale, s’insinua sotto l’elastico del pantalone e prosegue fino al sedere. Non sono nemmeno venti minuti che cammino, e sono già fradicia. Mi infilo in bocca una caramella alla coca e mi si dipinge in volto la stessa espressione da ‘trasgressiva’ che doveva avere il primo giorno di lavoro uno addetto al confezionamento della droga per Escobar.
“Toma un caballo, eres demasiado lento.” Ripete per l’ennesima volta con tono scocciato.
“None! Nun lo tomo er cavaglio!” Rispondo ancora più infastidita.
“Haz lo que quieras. No veo a los demás. Eres demasiado lento. Ve solo!”
Accelera il passo come una formica che ha appena avvistato una mollica di pane e mi lascia da sola. Sì, proprio da sola. Con la mia caramella di coca attaccata al molare e il mio bastone a righe bianche e rosse. “Fanculo! E menomale che doveva chiudere la fila!”
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.
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Il fiato è sempre più corto. Riesco a respirare ma sembra che il respiro duri meno. Come la supermercato: sulla confezione c’è scritto 500 gr, ma ti stan fottendo, ce ne saranno sì e no 470 all’interno. Mantengo la mente lucida, respiro piano ad ogni passo e non mi fermo mai, inesorabile e caparbia scruto i bastoni in lontananza.
“Ma porca puttana! Ma non potevano farli tinta unita di tutti colori diversi?” L’illogicità delle cose mi manda sempre in bestia. Respiro più profondamente fino a rischiare un’embolia. Mastico qualche foglia di coca. Le gambe stranamente mi funzionano ma sono rallentata, ogni passo lento è faticoso come affrontarne 4 veloci. Nel frattempo, mentre io cerco di capire se morirò su queste montagne, alla mia sinistra ci sono i peruviani in abiti tradizionali con dei sandali ai piedi, che corrono veloci trascinandosi con la lunghina tesa bestie di almeno quattrocento chili.
Ho superato metà percorso, un wc incastrato su un cumulo di terra mi indica l’area bagni. Strano modo per segnalare i gabinetti, non bastava un cartello?
Poco più in là c’è una statua di due alpaca che s’ingroppano. Probabilmente indicherà il ciulodromo. Chi può dirlo?
Continuo da sola quest’avventura sfiancante. Ringrazio ad ogni passo le mie ginocchia, i polmoni, la cistifellea, il fegato, i reni, le caviglie, i piedi…passo in rassegna tutte le parti del corpo comprese le sopracciglia e i baffetti che, appena nati dopo due settimane di viaggio, trattengono le gocce di sudore meglio di qualsiasi panno in microfibra.
Mi sento sempre più debole. Vorrei continuare a camminare ma nonostante respiri a bocca aperta, sembra che di aria nello sterno ne arrivi ben poca. Mi appoggio ad una roccia per qualche minuto. Sono tutti molto lontani da me. Chiudo per qualche secondo gli occhi per cercare di riacquistare energia. Metto la testa tra le braccia e mi concentro sul respiro quando all’improvviso qualcosa si insinua tra la mia faccia e il mio gomito. É la testa di un cavallo. Mi da due capoccione ben assestate e mi sbuffa aria calda sulla guancia. “Mi fai il solletico così!” Rido divertita mentre carezzo quell’enorme naso che mi sta pungolando.
Il ragazzo mi dice di salire, io non voglio ma il cavallo continua a strisciare la sua testa su di me. Provo tenerezza e sollievo. Ci spostiamo di qualche metro, vicino ad una piccola roccia, ci salgo sopra e inforco la sella. Il cavallo non ha emesso alcuno lamento di disappunto, ha iniziato a camminare lentamente mentre il sorriso del ragazzo mi confortava ad ogni lieve sobbalzo.
Da quassù il mondo è ancora più bello, non ricordavo quanto mi piacesse l’equitazione, eppure c’è stato un periodo della mia vita nel quale passeggiare nei campi con dei robusti bardigiani era una delle mie attività preferite. Il cavallo è un animale talmente forte e fiero che riesce a trasmetterti la sua potente compostezza. Ed eccomi qui, con il fiatone ma a schiena dritta, immersa nell’assoluto silenzio delle montagne peruviane disturbato solo dal tacchettio degli zoccoli sul terreno che mi appaiono come una dolce melodia. Ma quanto è bella la vita?!
Non ricordo più i nomi del valoroso destriero e del suo cavaliere, dopo una decina di abbracci e ringraziamenti li lascio dietro di me per affrontare l’ultima sfida.
Un falco dalla groppa bianca i libra sui pendii scoscesi e striati, i colori sono davvero molto marcati. Mi sostengo alla balaustra in legno muovendo piccoli passi sino alla sommità. Ce l’ho fatta. Adesso mi sembra di poter avere tutta l’aria del mondo dentro ai miei polmoni. D’improvviso quella sensazione di turbamento e dispnea sono scomparsi. Due alpaca agghindati a festa con degli occhiali scuri da tamarro si concedono alla folla. Sarò negli album ricordo di almeno un centinaio di persone, ma lo spazio è poco e la smania di potersi affacciare ad immortalare la famosa cresta di colori è parecchia.
Ce l’ho fatta. Sono a 5036 metri e non posso far altro che pensare che questo Pianeta è straordinario e che se ci si vuole sentire infinitamente piccoli e nel contempo immensamente grandi, basta venire quassù.

















































































