Si è conclusa da poco la mostra allestita in Palazzo Reale a Milano.
Ugo Mulas ha avuto la carriera che ogni aspirante fotografo vorrebbe avere, immagino. Autodidatta, approda nel mondo della pellicola quasi per caso, trovandosi, ai suoi esordi, al centro di uno degli eventi italiani più seguiti e meglio frequentati: la Biennale di Venezia. Siamo nel 1955 e la sua ascesa è appena iniziata.
Ingabbiarlo in una definizione è complicato, Mulas non è solo un capace ritrattista, i suoi reportage e le sue fotografie street sono eleganti e sublimi. Gli scatti da lui realizzati divengono col tempo concettuali, lineari, materici. Ma è davvero tanto di più e di diverso: immortala modelle per pubblicità di moda, collabora con teatri all’estero e con scrittori, con i quali, creerà il giusto connubio tra l’arte delle parole e quella delle immagini.
Sono centinaia gli artisti che si sono messi in posa davanti al suo obbiettivo: Marc Chagall, Marcel Duchamp, Federico Fellini, Pier Paolo Pasolini, Giorgio De Chirico, Salvatore Qasimodo, Valentino, Giò Pomodoro e Arnaldo Pomodoro. Poi ci sono: Giorgio Gaber e Oriana Fallaci, Alberto Sordi, Andy Warhol, Vittorio De Sica, Gianni Agnelli, Frank Stella, Totò, Giuseppe Ungaretti, Eduardo De Filippo, Carla Fracci, Bertold Brecht, Roy Lichtestein e Lucio Fontana.
Proprio di quest’ultimo troviamo in esposizione diversi scatti che lo ritraggono mentre buca la tela bianca con un temperino. La luce catturata da Mulas taglia il quadro insieme alla lama. Affascinante come due artisti si fondano in un’unica immagine, quasi in un’unica gestualità.
Amo particolarmente il bianco e nero, e mi entusiasmano le foto che ritraggono scene di vita quotidiana. Quelle del passato, fatte in città, in piazze, per strada, in laboratori o abitazioni. Quelle realtà che non esistono più (almeno non come allora), e che mancano al mio cuore. Vedere su carta stampata i cappotti di lana, la gestualità di una sigaretta senza filtro portata alla bocca con pollice ed indice, le sedie dei bar con le gambe di ferro e la seduta fatta di plastica intrecciata, le acconciature cotonate e le cravatte annodate meticolosamente sotto ai colletti delle camice. Le insegne senza il neon, le strade senza le auto e quei marciapiedi deserti sui quali ticchettavano le suole delle scarpe in cuoio. Per me i soggetti ed i contesti urbani delle fotografie di Ugo Mulas sono pura magia.
Una mostra che ho apprezzato parecchio, che ha lasciato spazio a diverse opere concernenti tutti i periodi dell’artista e che meglio ha mostrato l’essenza della fotografia in bianco e nero nella quale, a mio avviso, si possono sviluppare meglio le ombre che danno forme e dimensioni ai pensieri.