Non ho mai capito se si scrive attaccato o staccato, la cartellonista riporta la seconda opzione ma il web unisce le parole. Poco male, che sia Monte Senario o Montesenario me ne importa il giusto.
Questo convento nasce nel 1241 successivamente ad un lascito di un certo Giuliano da Bivigliano (Bivigliano è un comune poco distante). Il signor Giuliano lasciò in eredità parte del Monte “Asinario” (così si chiamava all’epoca) al Vescovo di Firenze. Insomma, fin qui nulla di strano, da secoli è solo ordinaria amministrazione per la Chiesa; la cosa buffa però fu che ben sette baldanzosi fiorentini, decisero tutti e sette trotterellando, di recarsi presso questo luogo ameno anche se spartano, per vivere nella povertà come Servi di Maria. Lasciarono quindi a casa ogni bene e (ma son dettagli), anche le rispettive famiglie. Nel giro di una manciata di anni ai sette eremiti si unirono molti altri uomini e, a metà del 1200, l’Ordine dei Servi di Maria si stanziò ufficialmente in questo incredibile luogo in mezzo al bosco. Fino al 1800 i frati condussero qui una vita isolata godendo (suppongo) dei colori delle stagioni, di letture ed arte, dei rumori del bosco e dei frutti della terra. Praticamente la stessa vita che faccio io con l’aggiunta dello smog e delle tasse.
La chiesa in cima alle scale è veramente graziosa. C’è una cappella dai colori blu e oro che mi conquista. Ha un gusto arabeggiante, elegante, familiare…non so, è un ambiente con molti eccessi ma con una inspiegabile armonia. Il convento è parecchio grande, non so di preciso quante celle ci siano ma degli alti cancelli e una cinta muraria ne delimitano un vasto perimetro. Tutt’intorno ci sono diversi sentieri da poter percorrere, più o meno lunghi e faticosi che portano a delle “attrazioni”, se così si possono chiamare e, nonostante la temperatura frizzantina decido di provare a raggiungerle tutte.
La prima tappa la trovo a pochi passi dal bar del convento, appena all’inizio del sentiero che conduce al bosco.
Scendo lungo delle scale in terra battuta e in men che non di dica mi trovo davanti alla grotta dei sette Sa…ma che diamine è sta cosa?!
Ci resto malissimo, non mi sembra né una grotta, né un luogo di culto, né una scultura, insomma…non è un bel niente. Forse il mio cane lo sapeva, per questo non ha fatto nemmeno la fatica di scendere lungo il sentiero. Lo raggiungo col mio sguardo attonito e continuiamo verso le altre tappe del percorso.
E niente, anche la grotta di San Manetto è una delusione.
Senza dubbio un po’ più ‘grotta’ della precedente ma di una tristezza e desolazione inaudita.
Che dire, fortunatamente si respira aria buona e camminare è sempre l’attività più distensiva e rilassante che esista al mondo ma… inizio a dispiacermi per quei poveri pezzi di legno trasformati in insegne di luoghi che, ai miei occhi, hanno ben poco valore.
Do la terza possibilità a questo posto prima di intraprendere il cammino che porta al camposanto che, tra tutte le opzioni possibili in questo contesto, mi sembra quella di gran lunga più suggestiva.
Ed ecco la mia terza indicazione: ‘fonte del gallo’; sono già drasticamente sudata ma dopo due delusioni mi aggrappo al mio spirito da giovane marmotta.
Il sentiero promette bene, le foglie al nostro passaggio suonano e il loro rumore un po’ pungente e un po’ armonioso mi fa entrare in brodo di giuggiole. (espressione che significa che mi fa parecchio felice). Pochi passi ancora lungo una discesa e….
…niente! La strada finisce su sta cosa qui! Se un tempo sia stata una fonte questo a me non è dato saperlo però qui, adesso, di acqua non ce n’è nemmeno l’ombra. Tre delusioni in fila con una sola mossa, meglio che a tris!
Mi rassegno e prendo fiato. Torno al centro del sentiero e mi godo il respiro della montagna, i suoi colori assurdi che variano dal grigio al porpora al giallo sino ai verdi più brillanti che si possano immaginare. Non serviva cercare luoghi costruiti dall’uomo per rendere interessante questa camminata, bastava concentrarsi sulle minuscole foglioline del sottobosco, sugli aghi che penzolano dai rami e sul rumore di zampette veloci e battito d’ali degli uccellini.
Il cane mi viene incontro tutto fiero con il suo bel pezzo di legno come a ricordarmi che basta veramente poco per essere felici (quando non si ha niente si capisce di avere tutto, non è così?) e, certe volte, è sufficiente un semplice bastone. Stai a vedere che i frati già nel 1200 lo avevano capito!?





































