Scendo dal minibus e mi sgranchisco le gambe. Poco lontano da dove abbiamo parcheggiato ci sono un gruppo di cagnolini davvero belli.

“Guarda che dolci! Ehi piccolino vieni qui!”

“Non li chiamare! Non vedi che sono malati?”

“Ma cosa dici! Sono adorabili, guarda che musetti.”

“Stanne lontana non li toccare hanno le pulci!”

“Ma figurati! Non vedi come sono piccoli e carini?! Fanno un sacco di tenerezza, vieni qui piccolino.”

Mi accovaccio con le mani tese in avanti in attesa di accogliere quel piccolo muso peloso e…

“Cazzo!”

Scatto all’indietro con un balzo nemmeno lontanamente atletico e cerco di distanziarmi da quell’amico a quattro zampe.

” Che c’è?! Che succede?! Ti ha morso?”

“No. Ma ha delle robe nere che si muovono sul pelo!”

“Te l’avevamo detto che hanno le pulci! Allontanati.”

“Hanno colonie di pulci! Oddio guarda come si muovono!”

Non avevo mai visto una cosa simile, tra il pelo color panna di quei cani c’erano decine di piccoli insetti ciccioni e neri che correvano così rapidi, più veloci di quanto possa fare uno con il colon irritabile che cerca un bagno al ristorante indiano.  Le osservo mentre scivolano lungo il pelo più spavalde di Edson Bindilatti nel 1999 a New York. Sono davvero tantissime accidenti.

“Dai smettila di guardare quelle pulci, muoviti che entriamo!”

 

Se non fai caso a quei poveri cani randagi e non ti da fastidio andare al bagno all’aperto con una donna che ti passa dei fogli di cartigienica alla bisogna e che versa la stessa acqua sporca raccolta in secchielli da spiaggia, sia per scaricare le latrine, che per farti sciacquare le mani, allora posso dirti che questo luogo è davvero affascinante.

É proprio qui che, nel lontanissimo I sec. a.C., viveva la giovane Cleopatra Selene, figlia della più nota Cleopatra VII e il romanissimo Marco Antonio. Questa città, in perfetto stile latino, ha un arco di trionfo (Arco di Caracalla) perfettamente conservato, una basilica, un acquedotto, le terme, i frantoi e diverse residenze abbellite da pavimenti con mosaici ancora intatti.

Le sottili colonne conservano i soli capitelli che sembrano reggere le nuvole grigie sopra le nostre teste. Tutt’intorno i resti sono appoggiati su un terreno arido e sabbioso, con piccoli e sparuti cespugli color fieno che, alleggeriti dal vento si muovono sinuosi. Alcuni alberi di ulivi macchiano il paesaggio, il sito archeologico si estende per diversi ettari e neanche dall’altare più alto del tempio si riesce a vederne la fine.

Un anziano vestito con una gellaba color porpora cammina lento tra i blocchi in pietra seminterrati appoggiandosi ad ogni passo ad un lungo bastone in legno intarsiato. Sta accompagnando un gruppo di turisti attraverso i resti di questo vasto patrimonio UNESCO.

Quaranta ettari di bassi muretti, cespugli verdi, olivi e terreno arido color sabbia. Uno spazio davvero immenso per una città che durante l’Impero romano contava più di ventimila abitanti, per lo più contadini. Mi perdo mentre cerco di scovare qualche segno particolare sulle rocce semisommerse dalla terra. Mi ritrovo all’interno del perimetro di qualche abitazione e immagino che, se il cielo si squarciasse in questo momento e dietro al gran fumo apparissero i volti dei vecchi abitanti di questa casa, uno di loro sicuramente si sporgerebbe verso la porta temporale, mi guarderebbe dritto negli occhi e, dopo un lungo sospiro direbbe “Ehi tu! La smetti di farti i selfie nel mio bagno!”

 

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