Autore: Giuseppe Cederna
“Anche un viaggio nasce , cresce, invecchia e poi muore..:”
Quattro amici si ritrovano alle 21 del 28 ottobre 1999, seduti al tavolo 9 di un ristorante vicino Piazza Navona. Ultima cena prima del viaggio previsto per la settimana seguente. Partiranno per l’India, un Paese che hanno già visitato e che li sta richiamando a sé come una giovane donna ammaliatrice.
Questo libro è il diario di viaggio di quel soggiorno orientale. Cederna ci racconta in maniera puntuale tutti gli spostamenti, i paesaggi che attraversa ed i luoghi in cui soggiorna. Coi suoi racconti l’autore ci rende partecipi delle molte storie di vita che ascolterà, (alcune sono difficili da digerire), degli incontri fatti durante il cammino e dei suoi pensieri. Come un taccuino privato, vengono appuntate emozioni e sogni, che si mischiano nella narrazione tanto da non comprendere talvolta se si stia parlando del presente del passato o del futuro.
Il suo modo di scrivere è didascalico. Piacevole per certi versi, forse troppo ‘essenziale’ per i miei gusti. Giuseppe ha un modo quasi telegrafico di riportarci la realtà dei fatti, come ad esempio, per i duecento chilometri da Nuova Delhi verso Nord, egli ci racconta così: “Farfalle di cartone. Poltiglia. Poltiglia verde. Poltiglia scura. Zampe. Ali. Ali. Ali. Cavallette. Cavallette. Cvallette. Pioggia di cavallette. Grandine di cavallette. Uragano di cavallette. Cavallette sul parabrezza. Cavallette sul tetto. Cavallette sui fili della luce. Cavallette sulle piante. Cavallette sulle macchine. Cavallette sull’asfalto. Lampioni. Stazione di servizio. Parcheggio. Cavallette sotto i piedi. Cric-croc, cric-cric, cric-croc. …”
L’India non è mai un viaggio facile, nemmeno per chi si limita a leggerne le avventure altrui, eppure riesce a rapirti afferrandoti dallo stomaco e contorcendoti le budella: “Bisogna salire le scale fino a una piscina di piastrelle turchesi che simboleggiano la confluenza dei tre fiumi sacri dell’India: Sarasvati, Gange e Yamuna. Qui vengono immersi i cadaveri legati alle barelle prima di essere bruciati…”.
Mi sono sempre chiesta: ma che odore avrà l’India? E Giuseppe riesce forse a darmi la descrizione più veritiera e ‘fisica’ mai letta prima d’ora: “Un inconfondibile fiume di odori che raccoglie fumo, smog, piante tropicali, merda, latrina, palestra, scuola, cartoleria, mercato, immondezzaio, garage, bidis, terra, asfalto, fango.” (il bidi è una sigaretta arrotolata di foglie di tabacco)
“Come un cane l’odore ci segue, ci supera, ci aspetta ad ogni curva, a ogni filare di alberi, si carica e distende a seconda dei quartieri…”
Tra i vari capitoli ci sono copie di scontrini, mappe disegnate a mano, fotografie in bianco e nero e citazioni poetiche, in perfetto stile ‘diario di viaggio’.
In questo suo lungo itinerario l’autore si ritroverà a mangiare con le mani, ad assistere a cerimonie religiose, a vedere carcasse di animali con le costole all’insù galleggiare su fiumi sporchi, a terrorizzarsi sui sentieri sterrati percorsi ad alta velocità con la jeep, a salire su treni a vapore, a stringere mani e a scansarne altre, a vedere le scimmie di montagna, a camminare in una foresta himalayana e ad ammirare il firmamento nelle notti di bivacco.
Nonostante ci racconti davvero tanto dell’India a me sono rimaste delle curiosità: perchè gli indiani dondolano la testa compiaciuti? Che profumo hanno i campi di riso basmati? E sopratutto, tra le mille difficoltà che si è chiamati ad affrontare e sopportare, l’India, come ti fa sentire veramente?
Forse, solo a quest’ultima domanda Cederna ha risposto già, appuntandosi le parole di un amico durante una conversazione notturna: “Quando sono qui non sento nessuna mancanza. Il mondo è qui, tutto il mondo è qui…il mondo è qui…” o forse, ha ragione suo padre nel dire che ‘tutto il mondo è paese’ è una frase stupida, ed i luoghi, in fondo, sono solo il riflesso di ciò che siamo noi.
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