Se dovessero riprodurre con un modellino della Lego il Cerro San Cristobal di Lima, i pezzi colorati delle case andrebbero conficcati direttamente su un cumulo di sabbia scura.

É Così che si presenta questo quartiere, arroccato su di una collina di terra sul fianco della città, con una strada erta, le curve a gomito, le case con gli spigoli a trenta gradi e la spazzatura abbandonata sugli stretti marciapiedi.

“Siamo sicuri che sia a senso unico questa strada?”

“Ma se gli specchietti toccano sia a destra che a sinistra? Certo che è a senso unico! Non ci passerebbe nemmeno una bici!”

“E siamo sicuri di non essere contro mano?”

“Beh, non c’erano altre strade per salire al primo incrocio, quindi direi di sì.”

“Ok. Allora abbiamo un problema.”

“Quale?”

“Davanti a noi c’è un ape rivestita di frange come il jumpsuit di Elvis che deve scendere. Come la facciamo passare?”

Il nostro autista suda dalla testa. Ha il collo completamente madido ed il rigo del colletto della t-shirt ha cambiato colore bagnandosi. Guardo fuori dal finestrino, da un lato la parete di roccia e dall’altro una piccola staccionata in legno marcio che ci separa dal baratro. Alcune porte di casa sono aperte e dall’interno degli sguardi poco raccomandabili spiano le nostre lente manovre.

Ad ogni metro d’asfalto percorso, mi ripeto sottovoce ‘ma che diamine siamo venuti a fare fin qui?!’

Cerco di distrarmi ascoltando la musica sparata fuori dalle casse e respirando lentamente.

“Daniè tutto bene? Mi sembri preoccupata, ti fa male la macchina?”

“No no, pensavo che, se dovessimo incontrare la strada chiusa in cima, non riusciremmo nemmeno a fare inversione, dovremmo riscendere a retromarcia praticamente.”

L’autista, che pare si stia liquefacendo sul sedile, non parla l’italiano ma, deve aver compreso perfettamente ogni mia singola parola. La sua fronte sembra la parete delle cascate del Niagara, il sudore scivola giù senza sosta e viene spazzato via con un colpo rapido della mano.

“Secondos te quantos mancas Arturito?”

Nessuna risposta. Eppure quando Ceccherini diceva alla ballerina di flamenco: ‘dos los ramatos’, lei lo capiva.

Saranno dieci minuti buoni che stiamo con le schiene incollate ai sedili. La pendenza ogni tanto si accentua un po’ di più e il motore sembra andare su di giri.

“Oddioooo! guarda che bellino!”

“Cosa?”

“Guarda Daniè!”

“Ma cosa? Dove?”

“Lì! Un cane!”

D’improvviso l’autista inchioda. Il perro si è messo a defecare proprio in mezzo di strada. Zampe piegate, schiena ricurva, sedere abbassato e sguardo fisso su di noi.

“Vai Arturito, tranquillo, anche se la schiacci con la ruota porta fortuna.”

“Ripartiamo con il freno a mano tirato, un lieve stridore dei pneumatici e le chiappe strette per l’ansia da salita.

 

Vorrei dire che in fondo è stato un gioco da ragazzi, ma mentirei.

Raggiungiamo il piazzale nel punto panoramico. I miei amici scendono con un balzo atletico dal predellino dell’auto sfoggiando un sorriso d’entusiasmo. Io invece, tiro fuori prima una gamba, poi l’altra, con calma, per non accappottarmi sulla porta scorrevole del monovolume. Il corpo trema ancora un po’, la schiena è fradicia e sorrido solo perché  l’angoscia è finita.

“Vieni a vedere Daniè!”

Ci sporgiamo dalla balaustra azzurra per ammirare il panorama sotto di noi.

Lima è una metropoli sconfinata. Di una bruttezza difficilmente eguagliabile. Lo smog non rende sicuramente lo spettacolo più elegante ma, concede alla città un fascino particolare. Guardo in basso e scorro ogni singolo spazio di questa enorme vallata. L’orrido che sfocia nel sublime.

Nel frattempo nella piazza più alta, si muove timida la bandiera bianca e rossa, è a mezz’asta per la morte dell’ex Presidente. La croce della vetta è più piccola di quanto mi aspettassi. Dei faretti la trafiggono per renderla luminosa nelle ore notturne. É qui dal 1928. La statuetta del Santo è protetta da una piccola teca trasparente posizionata sotto di lei e circondata da fiori.

C’è un signore che cammina con una macchina fotografica al collo e un album da mostrare ai turisti. È il fotografo ‘ufficiale’ di questo posto. Probabilmente passa quassù tutte le sue giornate in attesa di qualcuno che gli permetta di guadagnare qualcosa immortalandolo in uno scatto.

Ci sono anche: due venditori ambulanti di bibite e snack; un bagno completamente disastrato sul crinale della collina. Una montagna di bottiglie di vetro e lattine, accatastate lungo tutto il perimetro della piazza. Una piccola casa in ristrutturazione che fungerà in un prossimo futuro da museo. E poi c’è lui…il cane. Che ha raggiunto la cima con disinvoltura dopo aver scaricato la zavorra davanti a noi poco prima.

“Che dolce!”

“Daniè! Non provare nemmeno ad avvicinarti ad accarezzarlo che ti facciamo scendere a piedi!”

“Ma perché?”

“Sarà pieno di pulci e zecche.”

“Ma figurati!”

Mi giro verso il cane e lo sorprendo mentre si morde il culo freneticamente e con rabbia, ruotando su se stesso, con una zampa tesa che prova disperatamente a sollevarsi per grattarsi il fianco.

“Ok, non lo tocco.”

Il sole è una palla infuocata dietro un velo grigio. Restiamo un altro po’ a guardare le piccole case incastrate tra roccia e terra. I topi vengono fuori dai cumuli d’immondizia ed il silenzio viene rotto da un un pulmino pieno di turisti. L’anziano fotografo finalmente è riuscito a scattare una foto ad una famiglia in gita.

Sono contenta per lui, e adesso…comincia le discesa.

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