Sono mesi ormai che, al supermercato, acquisto vaschette di mirtilli provenienti dal Marocco poi, vengo in Marocco, e non ne trovo nemmeno uno.

Tu

Ho bisogno di comprare dei mirtilli e Google mi suggerisce la traduzione del piccolo frutto nero, si dice ‘tu’. Adesso…considerando che ‘buon appetito’ in arabo si traduce con: ‘atamanaa lai wajbatan shahiatan’…direi che mi è andata piuttosto di culo. Inizio quindi la ricerca del frutto proibito passando in rassegna uno dopo l’altro tutti i fruttivendoli che circondano la Medina. La dinamica si svolge più o meno così: entro, sorrido e ripeto “Tu? Tu?”. Struscio tra loro indice e pollice disegnando una micro sfera per aria, “Tu? Tu? Tu.” Mi sento piuttosto ebete, ma continuo ad entrare ed uscire dai negozi riproponendo la stessa gestualità, lo stesso sorriso e lo stesso suono: “tu tu tu..”.

Ricordo che quando chiamavo a casa di nonna all’ora di cena, sentivo lo stesso identico suono. Decido perciò di desistere, acquistare un paio di avocado e proseguire la visita alla città.

Incontro moltissimi gatti, anche cuccioli, hanno gli occhi ancora chiusi forse per la tenera età o forse per le pulci, mi fanno una tenerezza incredibile, li osservo mentre si appallottolano davanti ai portoni delle abitazioni. I cani randagi sembrano invece passarsela un po’ meglio, scodinzolano tra i tavolini dei bar, si sdraiano sui marciapiedi assolati o vicino le gambe degli anziani seduti in piazza a conversare. Le donne hanno i capelli coperti da foulard, gli uomini indossano la djellaba, con il cappuccio a punta che sta ritto verso il cielo.

Ha appena piovuto, l’aria ha un buon profumo fresco che si mischia a quello delle spezie, del pane caldo e della marijuana. I venditori delle botteghe se ne stanno in piedi sulla soglia e sorridono ai passanti in maniera amichevole e discreta, non ci sono auto e motorini, si odono solo il rumore dei passi dei turisti sulle strade in pietra e le conversazioni della gente. Un enorme arcobaleno disegnato in cielo mi dà il benvenuto nel centro storico. Passo sotto un’antica porta e mi addentro in questo paese dipinto con diverse sfumature di blu, celeste e azzurro.

Sono già stata in un luogo simile, Juzcar in Spagna, un piccolissimo paese sperduto in mezzo alla campagna, che ha avuto l’idea di dipingere di blu tutte le case e di farsi riconoscere come ‘il paese dei Puffi’. Nonostante Gargamella pare indossare una tunica nera rattoppata molto simile all’abito tradizionale marocchino, sono più che certa che sia solo un’astrusa coincidenza. Non è infatti chiaro il motivo per cui questo paese a Nord del Marocco abbia questo particolare colore; ci sono diverse ipotesi (in effetti tutte piuttosto plausibili), ma non sapendo con assoluta certezza quale possa essere quella veritiera, mi limiterò ad esporre un ventaglio di possibilità.

Negli anni Venti del secolo scorso gli spagnoli colonizzarono la cittadina e, diventando territorio spagnolo, la dipinsero di azzurro (qualcosa mi dice che è la meno probabile e smettetela di pensare ai Puffi!). Agli spagnoli successero gli ebrei che si rifugiarono qui per sottrarsi all’olocausto. L’azzurro è il colore del cielo e proprio la comunità ebraica avrebbe potuto trasformare la cittadina in un tripudio di celesti e blu come usanza religiosa e buon auspicio.

Senza andare a scomodare popolazioni e colonizzatori, ci sarebbero le opzioni più pratiche: il blu calma, protegge dal sole, rinfresca le case e tiene le zanzare lontane. Infine, potrebbe semplicemente essere un’ottima trovata per assicurarsi un passaggio continuo di viaggiatori che da Tangeri si spingono verso Fes alla ricerca di una sosta perfetta per scattare foto ‘instagrammabili’. Troppo cinica come opzione?

Non resta che scegliere la motivazione che ci convince di più, in ogni caso, Chefcaouen potrebbe fare da copertina al long playing di Domenico Modugno ‘nel blu dipinto di blu, felice di stare lassù…’, perché è vero, passeggiare tra i colori, mette un sacco di allegria.

 

 

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