Non posso resistere oltre. Mi scappa fortissimo la pipì. Lo schermo attaccato al sedile che ho di fronte mi dice che manca poco più di un’ora all’atterraggio.  Chiedo permesso al mio amico, gli rubo le Birkenstock e vado verso il bagno.

‘Troppa fila accidenti’ penso, ripiego verso la stanzetta di servizio, sposto le tende, saluto con un cenno del capo le hostess e frugo con molta poca eleganza tra gli snack posizionati nei cestini. Torno quindi al mio posto con un bottino: 3 barrette di cioccolata al latte, due confezioni di salatini e tre di biscotti.

Lascio le ciabatte al mio amico, lo scavalco goffamente, mi siedo, mi allaccio la cintura, la slaccio, recupero il cuscino che era rimasto sotto al sedere, riallaccio la cintura, metto le cuffie, premo play e assaggio uno di quei biscotti appena trafugati.

‘Cazzo sono buoni!’

Slaccio la cintura, tolgo le cuffie, metto in pausa, chiedo permesso al mio amico “Ma dove devi andare adesso?” “In bagno” “Ma non ci sei già stata? Cos’è stai male?” “No, prima c’era coda”. “Non potevi aspettare in piedi?” “Mi sono scordata che dovevo fare pipì” “Ma come ti sei scordata di….vabbè non importa passa.”  Alzo una gamba, poi l’altra, col sedere do un colpo al sedile davanti “Scusi tanto, sorry”, rimetto le Birkenstock di 8 numeri più grandi e mi dirigo verso la saletta di servizio. Questa volta quella posizionata in testa all’aereo, giusto per non dare nell’occhio. Sposto le tende, saluto con un cenno del capo, rovisto nella cesta dei dolciumi e vado via contenta come un bambino di cinque anni sulla Bleecker Street ad Halloween.

“Eccomi” lascio le ciabatte, pesto un piede al mio amico, per non appoggiarmi pesantemente al sedile di quello davanti, gli pesto anche l’altro. “Scusa.” “Scusa un cazzo dai siediti” “Ho detto scusa” “Ho capito, menomale ho due piedi, se ne avessi avuti tre avresti pestato anche il terzo. Adesso hai finito di girellare?” “Sì sì tranquillo.” Allaccio la cintura, slaccio la cintura, recupero il cuscino caduto a terra, ficco tutti i biscotti nello zaino, mi allaccio la cintura, metto le cuffie e premo play. Poi, all’improvviso, qualcosa mi torna in mente.

Cazzo! La pipì.

Scendiamo dall’aereo, passiamo tre corridoi e una rampa di scale, entriamo nel salone del ritiro bagagli che, con grande sorpresa di tutti, è già in funzione. Ritiro lo zaino, mi carico lo zaino sulle spalle, corriamo tutti insieme verso la lunga fila del controllo passaporti e…”ragazzi solo un secondo, devo fare la pipì!”

Tolgo lo zainetto che tengo sul davanti a mò di partoriente, ed entro in bagno spingendo la porta con la spalla, supero la tazza con la gamba destra, chiudo la porta, appoggio lo zainetto a terra, tolgo lo zaino grosso, lo metto a terra, riprendo il piccolo, lo metto sul grande, sposto la gamba sinistra, ficco tutto di lato verso la parete, riscavalco la tazza e (finalmente) mi calo i pantaloni. Mi cascano dalla tasca due biscotti, gialli, a forma di pollo, ho scordato di darglieli al mio cane ieri mattina all’aeroporto.  ‘Vabbè fa niente’ lo sguardo si alza lentamente dal pavimento, mentre continuo ad urinare con una certa soddisfazione.

PROHIBIDO TIRAR PAPEL EN EL WC  ‘come?’ penso perplessa guardando il cartello che sta appiccicato alla porta ad un palmo dal mio naso ‘e dove minchia la butto la carta?’

Un cestino,  grande come uno di quei barattoli di plastica della Nutella che gli zozzoni (paninari della notte) usano per farcire le piade delle tre del mattino, straripa di fazzoletti sporchi.

‘Mi sa che al posto dei biscotti, avrei dovuto portare i sacchetti del cane’.

 

Senza alcun dubbio, quello in Perù, è stato il secondo viaggio più bello della mia vita. Il podio del vincitore rimane assegnato al primo viaggio in solitaria di un mese, trascorso on the road negli States. Facile da giustificare questa assegnazione: ero sola, avevo ventisei anni, era il mio primo viaggio, ero negli States. Null’altro da aggiungere. Ciò che ha reso così speciale questo viaggio è stato invece: l’averlo fatto  con degli amici, l’aver preso qualsiasi tipo di mezzo (dal cavallo all’aereo) e l’aver potuto vedere dei luoghi incredibili!

Facciamo quindi, un breve riepilogo di ciò che è stato.

In Perù la carta non si getta nei wc. E questo lo avevamo già capito. Al controllo passaporti non mettono il timbro sul passaporto. L’unica grande delusione del viaggio. Per rimediare, e dimostrare al mondo intero di essere stata in terra peruviana, ho comprato una dozzina di patch da attaccare allo zaino. Tutti suonano il clacson. Lo si suona per avvertire di un pericolo, per salutare amici e parenti, perchè passa una bella donna, per chiedere la precedenza, perché non ti hanno dato la precedenza, per avvertire che si vuole curvare, per richiamare l’attenzione dei turisti (se sei un taxi), per vendere qualcosa ai passanti sporgendoti dal finestrino, per richiamare l’attenzione di un ambulante se hai fame o sete, per farti lavare il vetro, per mandar via qualcuno che sta in mezzo di strada, per spaventare i cani che attraversano, per supportare chi manifesta (se stanno manifestando), per dissentire da chi manifesta (sempre se stanno manifestando), perché c’è traffico, per rispondere a qualcuno che sta suonando, suonando a tua volta.

Sulla costa, nelle città di mare, ci sono i cartelli stradali ‘direzione TSUNAMI’. Scritta bianca su sfondo verde, non ho ben capito se sono le onde che devono fermarsi a quell’incrocio per proseguire dritto o se sei tu che te ne devi andare da lì. I peruviani non sanno fare i conti, non tutti sia chiaro, ma sicuramente tutti quelli con i quali ho avuto a che fare io. Attendere il resto di un caffè pagato in monete, potrebbe rivelarsi una delle cose più lunghe da fare durante la giornata.

Le auto hanno i cruscotti col pelo. Una distesa di pilu, come direbbe Antonio Albanese, dai colori più assurdi come rosa fluo, arancione o grigio talpa. Non chiedetemi a cosa serva, non ho avuto il coraggio di domandare. Le foglie di coca le trovi ovunque. Nei mercati, nei negozi di souvenir, nelle botteghe e nell’atrio degli alberghi come bevanda di benvenuto. Puoi ciucciarle (le foglie si mettono in bocca al lato dei denti ma non si masticano, né si ingeriscono), puoi farci un infuso e, per i più golosi, mangiare caramelle di coca o cioccolata alla coca.

Il mezzo più diffuso nelle città è un’ape a tre posti. Un risciò per intenderci, dai mille colori, con degli impianti stereo da far spaccare i timpani e ammennicoli di varia natura e genere appesi per “abbellirlo”. La frutta fresca viene venduta in mezzo alla strada su carretti di legno trainati da moto che hanno solo la ruota anteriore. Nei mercati cittadini la carne è esposta sul banco, puoi trovare pile di fegati bovini, teste di gallina ammucchiate in un recipiente, zampe appese a uncini e teste di mucca e buoi appoggiati sul pavimento del mercato. Gli zoccoli, ancora sporchi di sangue, stanno in una cesta vicino allo sgabello del venditore.

Le linee di Nasca sono profonde poco più di un paio di centimetri. La Panamericana ha tagliato la coda alla lucertola gigante e, nelle curve a gomito (o nei tornanti) i peruviani azzardano dei sorpassi che ti fanno tornare in mente tutte le messe frequentate durante il periodo del catechismo. Rimanendo in tema, i pinguini qui sono piccolissimi ed inciampano su rocce appuntite. I siti archeologici sono estesi, straordinariamente belli e…deserti. In molti luoghi pubblici non c’è l’acqua corrente e per scaricare il wc o lavarsi le mani si usano dei secchielli per prendere l’acqua da dei grossi bidoni. A Lima i poliziotti hanno il cappello bianco da esploratore e stanno immobili agli angoli delle grandi arterie. Per lo più sono giovani donne, bellissime.

Riso e quinoa immancabili protagonisti in ogni menù a qualsiasi latitudine. Le case non sono finite, probabilmente sperimentano la vita per qualche anno al primo piano e poi, se si son trovati bene, decidono di ultimare anche il secondo. Per l’imbiancatura invece, aspettiamo che arrivi il catalogo completo dei colori per capire se sia meglio un bianco sporco o qualche tinta pastello. Per strada il Perù batte il Giappone a mani basse…in quanto a cibo intendo. Se in terra nipponica ad ogni angolo puoi trovare gelati, bibite calde e fredde, panini, dolci ecc…qui in Perù, ad ogni angolo, trovi la versione umana dei distributori automatici. Gelati di frutta, frullati, spremute, piatti di carne, popcorn colorati, chips di banane, frittelle, riso saltato, pane, uova, snack e caramelle, bevande di tutti i tipi. La sera lungo le strade meno trafficate puoi trovare decine di tavolini e sedie. Alla luce dei lampioni la gente si ferma a mangiare un boccone, fa due chiacchiere e beve una birra in compagnia.

Ho amato tutto del Perù, anche le situazioni difficili, i sedili scomodi, le salite che tolgono il fiato, le zanzare insistenti e i bagni senza acqua. Ho amato il riso con verdure, dal primo al settantaduesimo piatto, i cappelli in lana di alpaca, le strade polverose, le vette colorate, il tramonto sul lago Titikaka e gli infiniti scalini per arrivare al Machu Picchu. L’acqua calda delle terme, l’odore di stalla delle coperte, il sapore della frutta sinora sconosciuta, la tisana alla muña, il ritornello della canzone di Pachamama cantato a squarcia gola come se fossimo degli ultras, le panchine in legno sul tetto della barca, gli abiti colorati delle anziane signore, le impanadas al formaggio, il pisco ghiacciato (il chilcano ancora me lo sogno) e il cavallo color miele che mi ha dato un passaggio in salita quando le forze erano quasi esaurite.

Ma più di tutto ho amato i sorrisi. I peruviani non ti negheranno mai un sorriso, questa è la più grande ricchezza del meraviglioso ed affasciante Perù.

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