Nel campo da calcio del centro di Aguas Calientes, un gruppo di amici ha fatto la storia.

Sono appena passate le nove di sera e le luci al neon di un piccolo luna park danno colore ai palazzi inconclusi nel cuore dell’arroccata cittadina. Uno sparuto agglomerato di persone si sta cimentando nell’antico gioco del ‘tiro alle palline in buchi numerati’. (Assai scarsi i risultati dei partecipanti). In palio: peluche, scolapasta in plastica di vario colore, lunghe pile confezionate di bicchieri di carta, macchinine giocattolo imbrigliate in scatolette di cartone, giocattoli per bambini (di quelli che i cinesi nei loro empori te le tirano dietro ad un euro), palloni, sgabelli in plastica (sui quali è facile sedersi ma non altrettanto agevole rialzarsi) e…uno dei premi più belli mai visti in tutta la mia vita…lo scopettone per il cesso!

Quello era il nostro obbiettivo e, non ci crederete ma…lo abbiamo conquistato al primo colpo!

“Abbiamo vintoooo!” Gridiamo mentre tutti i peruviani accorsi a scoprire il motivo del nostro strano entusiasmo dirompente e rumoroso, ridono con noi (o di noi). Ce ne freghiamo, li coinvolgiamo in una specie di danza della vittoria mentre agitiamo in mano la nostra vincita come fosse la coppa del mondo. “Abbiamo vinto lo scopettoneee per il cessoooo!” Come si può spiegare la felicità per un trofeo tanto brutto, senza sembrare fuori di testa?!

Dopo le foto di rito e gli autografi ai passanti, cediamo con cerimonia solenne, il nostro caro scopettone azzurro al signore più anziano di tutto il gruppo. L’uomo che più di tutti aveva partecipato ai nostri festeggiamenti goliardici sorridendo con quel che gli era rimasto della dentatura.

Quasi mi commuovo a passar quel testimone. Questi sono i momenti che ti restano impressi nella memoria.

 

Detto ciò…vi spiego come ci sono finita quassù nel bel mezzo del nulla. Aguas Calientes è un piccolo centro abitato che si raggiunge con un treno di circa quattro ore che parte dalla stazione di Cusco. Tappa per tutti i turisti che abbiano voglia di vedere il Machu Picchu.

La stazione è piccola e molto curata. Sembra di stare in uno di quei set cinematografici delle colonie inglesi, con cartelli in ferro battuto verdi, aiuole, fiori e il fragore dei treni all’arrivo. Appiccicato alla stazione c’è il grande mercato coperto. Centinaia di banchi di artigianato (e cianfrusaglie) che ti faranno passare del tutto la voglia di acquistare qualcosa. Troppa confusione di colori, prezzi altissimi rispetto allo standard peruviano, qualità non proprio eccellente. Lungo i saliscendi del centro invece si possono trovare negozietti di pietre preziose, attrezzatura ed abbigliamento sportivo a prezzi vantaggiosi e cibo…tanto tantissimo cibo. La vera attrazione qui è un centro termale di modeste dimensioni, con tre vasche all’aperto in un contesto naturale davvero vibrante. Peccato esserci capitati di domenica, il giorno in cui tutti i l sono liberi e ne approfittano per farsi un tuffo.

“Ma chi c’è passato da ‘sti bagni? Attila co’ tutti gli Unni?!” Non solo disordine e sporcizia negli spogliatoi, ma sovraffollamento rumoroso nelle piscine (che in contesti più tranquilli offrono un panorama romantico e silenzioso), ed un colore dell’acqua davvero poco invitante. Mentre lasciamo i ragazzi in ammollo con un gruppo di bionde danesi (ed una nutrita cricca di funghi autoctoni), noi donzelle ci inerpichiamo su un breve sentiero che conduce ad una cascata. Bello spot, anch’esso preso d’assalto da lunghe criniere color pece.

La sera le stradine di Aguas Caliente si rimepiono di luci e musica. Locali di ogni tipo dove bere un buon cocktail, birre alla spina, sfidarsi a scacchi o a giochi in scatola, e gustare ogni tipo di pietanza. La cucina peruviana è formidabile. Impossibile alzarsi da tavola insoddisfatti. Vicino la chiesa e il comune, si trova il banchino con il timbro del Machu Picchu. Avete presente quei timbri grossi che si collezionano lungo i templi, i punti panoramici o le stazioni giapponesi? Paro paro, un must have sul passaporto!

Ho apprezzato l’atmosfera rilassata della cittadina, il silenzio che si ascolta quando anche l’ultimo locale abbassa la saracinesca. Ho amato quella sensazione di incertezza e precarietà suggerita dai palazzi spogli e non conclusi, dai balconi nudi senza parapetto, dai fili che scendevano incurvati dai lampioni. I piccoli cani arruffati che si sdraiano in mezzo di strada, i bambini che corrono veloci incuranti delle gambe lunghe e distratte dei passanti e le nonne, con gli abiti tradizionali e il sorriso stanco, che li seguono a metri di distanza.

La mattina, mentre il sole dorme ancora, lunghe file di persone attendono gli autobus per andar al Machu Picchu. Noi l’abbiamo fatta a piedi. In salita. Lungo un sentiero di scalini. Ma questa, come direbbe Carlo Lucarelli….è un’altra storia.

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