Siamo a Lucca in una calda giornata di giugno del 1806.
Elisa Bonaparte raccoglie la sua gonfia gonna damascata tra le mani tirandola su quanto basta per non inciampare nelle scalette della carrozza.

“Fammi spazio”

“No dai, siediti la!”

“Ma lo sai che mi da fastidio la carrozza. Voglio stare nel senso di marcia fammi spazio!”

“Scordatelo sorellina.”

“Va beh dai sposta il piede.”

La principessa si accomoda sbuffando e, piegandosi un po’ in avanti, sistema la gonna color blu e oro sotto la seduta di velluto rosso.

“Serva! Mi passi la bambina.”

La giovane donna dall’aria stanca le allunga il piccolo fagotto maleodorante attraverso le tendine bordeaux.

“Ma cos’è questo odoraccio? Ha mica defecato?”

“Pare di sì Principessa proprio in questo istante.” La serva abbassa lo sguardo per non incontrar quello della padrona.

“Vabbè ci penseremo al ritorno, adesso se ne vada.”

Elisa porta al petto la piccola bambina, le sposta delicata i corti capelli color castagna e la bacia in fronte.

“Ma che puzza nauseabonda! Non vorrai mica fare tutto il viaggio così? Richiama la serva subito affinché la cambi!”

“No Napoleone altrimenti facciamo tardi, per favore dai l’ordine di partire.”

Storcendo il naso a destra e sinistra come la strega Sabrina l’uomo, seppur contrariato, tuffa la testa fuori dall’abitacolo gridando “Partiamo!”

I cavalli si mettono al galoppo con un grande scossone.

“Pff! Che puzza!”

“Lamentarti ogni minuto non cambia l’aria! Falla finita e stai zitto che se si sveglia inizia a piangere e non la smette più! Tra poco arriviamo, apri un po’ le tende e resisti!”

 

….Dopo circa due ore e mezzo…..

 

“Hai visto?! Siamo già arrivati.”

Napoleone paonazzo in volto e con i capelli scompigliati ritrae la testa che fino a quel momento aveva tenuto fuori dal finestrino al di là delle tende. Elisa svincola il chiavistello e apre la porta in legno, passa con entrambe le mani la bambina al cocchiere e, appoggiandosi alla parete imbottita, scende le scalette mettendo i piedi di lato per non far incastrare il tacco nelle fessure di metallo. Napoleone la segue uscendo dalla carrozza con un solo salto.

“Faccia arrivare subito un’altra carrozza, non farò un’altro viaggio così!” Ordina al cocchiere mentre si sistema i capelli strofinandoli con le dita e, dopo essersi inumidito il palmo della mano con la saliva, appiattisce e sistema sulla fronte le piccole punte della frangia.

“Come desidera Imperatore.”

 

I due e la neonata entrano nell’edificio color sabbia, salgono la scalinata d’ingresso e attraversano il corridoio di sinistra sino alla quinta porta sulla destra.

toc toc

“Avanti.” Risponde una voce grave dall’interno.

Elisa abbassa la maniglia e fa capolino sorridendo. “Salve. Abbiamo un appuntamento alle 11.15”

“Prego entrate.”

Dietro la scrivania c’è un uomo gracile con i capelli bianchi molto corti che gli girano tutt’intorno alla nuca da orecchio a orecchio.

“Prego accomodatevi.” Sposta a fatica un paio di pile di scartoffie per poterli vedere meglio in volto.

“Ma cosaaa?!” D’improvviso scatta all’impiedi  annusando l’aria come un cane in cerca dell’osso. “Cos’è questo odoraccio?” Si sporge all’indietro col busto e, sollevando prima una gamba e poi l’altra, controlla le suole delle scarpe.

“Si sieda!” Ordina spazientito Napoleone “É mia nipote. Ha defecato.”

I due si guardano per un brevissimo secondo quindi l’ufficiale dell’anagrafe torna a sedersi in silenzio.

“Va bene iniziamo allora..” Si schiarisce la voce con un paio di colpi di tosse “…I vostri nomi?”

“Elisa Bonaparte, sono la madre”

“Napoleone Bonaparte, sono lo zio”

“Molto bene, e quale nome avete scelto per la bambina?”

“Elisa Napoleona”

“Non ho capito?” Alza lo sguardo con aria interrogativa.

“Elisa Napoleona” Ripete la madre scandendo bene ogni singola lettera.

“Ah….va bene.” Tossisce ancora e come un cameriere imbarazzato conclude a gran voce: “Ottima scelta.”

In quanto a nomi la Principessa di Lucca non fu affatto fantasiosa, diciamo così, per fortuna le possiamo riconoscere un gran gusto estetico. Villa Marlia è elegantissima, mi stupisce fin da subito per la cura dei  giardini, verdi armoniosi ricchi e… per la straordinaria (è proprio il caso di dirlo) applicazione gratuita grazie alla quale posso girare l’immensa tenuta avendo sempre a portata di mano una preziosa guida.

Laura Galigani, col suo sorriso e la sua piacevole presenza, accompagna la visita con brevi video e audio descrittivi. Un servizio del tutto inaspettato che ho trovato non solo istruttivo ma, geniale. Si evitano così quegli odiosi cartelli turistici che deturpano la delicatezza del paesaggio e che, con sole e pioggia, si riducono a pannelli sbiaditi sui quali si legge poco e nulla.

La villa ha cambiato diversi proprietari nei secoli, subendo importanti ristrutturazioni e cambiamenti sino a diventare lo splendore che possiamo ammirare oggi.

Ogni ambiente è una sorpresa. C’è la villa con il suo terrazzo che affaccia sulla fontana, il palazzo dell’orologio con un’invidiabile biblioteca (ci sono più di mille volumi in otto diverse lingue alcuni dei quali risalgono al XVI sec.), una discoteca (non è un luogo dove si balla ma una raccolta di dischi fonografici), una piscina, diversi giardini, un teatro di verzura ( uno dei pochi conservati, trattasi di un teatro fatto interamente di piante), una grotta e un lago dal quale la vista è incredibile.

Non ci si annoia a passeggiare nel parco della villa perché di tanto in tanto s’incontra qualcosa di particolare; in un solo luogo tanti diversi ambienti, ognuno dei quali porta con sé qualche frivola storia, fatta di personaggi illustri, feste mondane e cura dei dettagli.

Peccato non ci sia l’acqua, avrei fatto volentieri una nuotata gettandomi da questo trampolino dal quale sicuramente anche Salvador Dalì (uno degli ospiti più famosi) soleva tuffarsi. Pare che questa piscina costruita negli anni venti fosse riscaldata da un potente termosifone così da poterci fare il bagno anche quando le temperature erano più fresche.

Il salice piangente mi ricorda i giardini che frequentavo da bambina. L’albero dal nome triste si alternava a degli alberi di gelso e dietro quei rami fitti e all’ingiù, ci si nascondeva per non farsi trovare o per ripararsi dal sole.

Che dire, correrei a perdifiato su questo grande prato prima di distendermi all’ombra esausta. É proprio bello qui e devo dirlo con estrema franchezza arricciando il naso come Napoleone, questo posto mi ha stregata.

 

 

 

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