Questo è uno dei musei più particolari che si possano visitare a Londra. Si trova a Notting Hill ed è impossibile passarci davanti senza notare l’enorme murales colorato che decora l’ingresso. Avendo studiato pubblicità all’università, non potevo esimermi dal visitare una collezione simile. Più di dodicimila oggetti tra giocattoli, riviste, confezioni di cibo, sigarette, bibite, saponi, detersivi e caramelle. Un ‘tunnel temporale’ così viene definito, che dal 1920 ci porta ai giorni nostri.
Le vetrine, piene zeppe di articoli, si snodano in corridoi che sembrano infiniti e, per ogni decade, vengono esposti tutti i beni di consumo ed i balocchi che i negozi di allora mettevano in vendita.
Con facilità si possono notare i cambiamenti di abitudini e come queste si evolvono, come vengono influenzati gli acquisti ed i bisogni di adulti e bambini, come viene monopolizzato il mercato e in che modo viene imposto il modello da seguire (che sia una persona o un comportamento).
Tutto ha impatto sulla vita delle persone attraverso attente scelte di packaging e di personaggi da mettere sulle copertine delle scatole dei giochi. Dai trasporti, alle due guerre mondiali, passando per l’avvento di radio, tv e cinema hollywoodiano; i cartoni animati invadono le fantasie e le case, la Luna diventa un pianeta sul quale passeggiare (sia chiaro io non credo affatto allo sbarco sulla Luna e tengo a sottolinearlo), le automobili devono fare benzina ai grandi distributori come quello della Shell (che invade le copertine di puzzle, modellini e bambole per decenni), gli uomini tolgono la cravatta e le donne accorciano la gonna.
Mi stupisco nel vedere che ci sono prodotti di una longevità strabiliante, come cereali, cioccolatini e saponette. Marchi che non avevo idea fossero così anziani. Ci sono così tante cose sulle quali poggiare lo sguardo che passare in rassegna ogni singola vetrina diventa come un lavoro, e anche piuttosto stancante. Se non stai attento ti sfugge il giocattolo con Shirley Temple sulla confezione o le prime versioni del gioco dell’oca.
Questi oggetti non hanno solo un pregio storico, suppongo debbano anche avere un notevole valore economico e, sicuramente, concedono ai ricordi quell’emozione fanciullesca che solo un oggetto della tua infanzia può darti. Io ad esempio ho ritrovato dei prodotti e dei peluche che avevo da bambina, mentre alcune delle confezioni di prodotti per il bagno esposte tra le prime vetrine, erano identiche a quelle che si trovavano nella vecchia casa dei nonni.
La cosa che mi ha fatto più riflettere è stato l’arrivo delle vetrine degli anni Duemila.
Il nulla cosmico.
Se priva si voleva dare una parvenza di educazione, si cercavano di sviluppare i mestieri casalinghi, le attività mnemoniche e manuali; se giocare all’aria aperta era importante e se tutti contribuivano a fare i mestieri di casa…dopo gli anni Novanta abbiamo il vero tracollo culturale e sociale. Al diamine i condizionamenti collettivi e di consumo. Credo che la parola chiave per progettare i prodotti dei quegli anni sia stata: ‘ignoranza’.
“Coltiviamo l’idiozia dal 1990.”
Questo potrebbe essere il giusto slogan.
Bambolotti con occhi enormi a palla pieni di brillantini colorati. Adolescenti che cantano su suoni commerciali. Giornaletti con copertine di tutte le tonalità di rosa incellofanati con gadget inutili e di dubbio gusto e fattura. Prodotti per la depilazione di ogni parte del corpo ed una miriade di bagnoschiuma con boccette dalle forme più assurde che si potessero inventare. Non ci sono strumenti musicali, non ci sono personaggi di rilievo, non ci sono mestieri socialmente utili, non ci sono giochi intellettivamente stimolanti ma solo sfide nelle quali puoi diventare più ricco, o più famoso o più bello.
Non c’è nient’altro da aggiungere.
Non si sfugge.