Il leone bianco del Nilo, è così che viene chiamato il temerario e testardo Giovanni Miani. Originario di Rovigo, è uno degli esploratori italiani più sfortunati al mondo eppure, nonostante problemi di salute, avversità atmosferiche, mancanza di denaro, di cibo e ostilità dei popoli indigeni, bisogna riconoscergli di non aver mai mollato.

Dopo aver girato molte città europee, studiato, insegnato e fattosi mantenere da diversi benefattori grazie alla sua cultura in campo musicale, una mattina si sveglia… e decide di voler disegnare le carte geografiche del Nilo e di scoprirne le sue sorgenti.

La prima spedizione nel 1857 non portò a nulla. Dovette far i conti con piogge incessanti, caldo soffocante, insetti assordanti e instancabili, enormi coccodrilli ed una tremenda diarrea debilitante.

Dopo due anni, ha il tempo di riorganizzarsi al meglio e parte accompagnato da un capitano di marina, un fotografo, un pittore e un traduttore arabo-francese.

“A’ Leo’ l’hai preso qualche scatola di imodium?”

“Scatola di che?”

“Imodium. Serve a non cacarsi sotto.”

“Ma non l’hanno ancora inventato!”

“Ah ok, allora io dormo nel letto di sopra. Non si sa mai.”

Un viaggio estenuante, che lo porta a risalire il Nilo e ad attraversare a dorso di cammelli e dromedari polverosi deserti. I suoi diari descrivono le difficoltà della spedizione e il temperamento delle popolazioni indigene. Il viaggio non è affatto semplice, passeranno settimane intere senza rifornimenti, fermi in territori inesplorati e inospitali, sfideranno animali e alcuni del gruppo moriranno di malaria. Anche questa volta Giovanni non riuscirà a trovare le agognate sorgenti ma, tornerà in Europa con una ricca collezione di oggetti locali, carte geografiche, diari appunti e notizie inerenti a luoghi adatti come snodi per mercati di scambio e affari in terra africana. Tutto questo materiale raccolto permetterà a Miani di raccogliere altri finanziamenti per una spedizione successiva.

Purtroppo… mentre lui si dà da fare con le public relations, cercando di racimolare qualche soldo a destra e a manca, la Royal Geographical Society invia due uomini in Africa: Specke e Grant.

Tutta l’Europa è in attesa del loro resoconto, è così tanta l’attenzione dedicata a questa spedizione che lo scrittore Jules Verne decide di sorvolare l’Africa in mongolfiera per redigere un libro che possa essere pubblicato prima di qualsiasi notizia ufficiale degli esploratori così da approfittare del grande pubblico interessato alla vicenda.

“Miani mi sa che è meglio se partiamo subito, non sia mai che quei due con tuba e ombrello, non riescano a trovare le sorgenti prima di noi!”

“Troppe insidie, troppe difficoltà, vedrai che molleranno presto.”

E infatti…i due esploratori inglesi riescono a risalire il Nilo e a scoprirne le sorgenti.

La notizia arriva in fretta ed immagino la faccia di Miani quando glielo comunicano. Altro che leone bianco, sarà stato na’ iena!

Fatto sta che decide comunque di mettere in piedi la sua terza spedizione. Voleva controllare il lavoro redatto dai due colleghi rivali e giungere egli stesso nel luogo tanto agognato.

Nel 1872, dopo tanti sforzi e dopo aver resistito a tutto, morì indebolito dalla diarrea e con un’ invalidante necrosi al braccio.

Giovanni Miani in realtà fu un esploratore che non scoprì nulla e in Congo terminò la sua vita dopo esser stato bruciato sul tempo dagli inglesi. Non si sa se sarebbe mai riuscito a portare a termine la sua missione, nel che è certo è che non si può immaginare una vita vissuta più intensamente e coraggiosamente della sua.

 

Qui sotto le immagini della mostra a lui dedicata a Rovigo (gratuita fino a giugno 2022)

Miani viene citato nel libro “Cinque settimane in pallone” di Jules Verne.

Le sue collezioni donate alla città di Venezia nella seconda metà del 1800 sono oggi esposte nel Museo di storia naturale.

I suoi resti furono recuperati e riportati a Rovigo dove vengono conservati nel museo dell’Accademia di Concordi.

 

 

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